Sulla pelle dei più piccoli
“Ho 16 anni, vengo dall’Egitto e otto li ho trascorsi in Libia con la mia famiglia; tutto andava bene fino a quando avete cominciato a distruggere tutto, a bombardare, sparare, e noi neri siamo diventati il bersaglio preferito da tutti, libici e italiani”. K. nonostante la sua giovane età, ha le idee abbastanza chiare, ed è un fiume in piena; ha voglia di vomitare la sua rabbia al nostro amico mediatore che è la prima persona che incontra e che lo capisce.
“Quando siamo nella barca, ad ucciderci ci pensa anche la guardia costiera libica, salendo sulla barca e picchiando le persone chiedendo di consegnare telefonini, soldi, e altre cose di valore, le uniche che ci sono rimaste; io avevo un anello e come vedi mi hanno rotto il dito per prenderlo (ci mostra la mano che sembra che abbia subito un trauma, ndr). Era di mio padre e non volevo lasciarlo. La guardia costiera libica ha anche ucciso delle persone buttandole a mare per farsi spazio nella barca a colpi di bastone. Abbiamo visto annegare davanti i nostri occhi una donna e un bambino”.
Facile etichettare come violenti questi ragazzi che in qualche modo si ribellano rivendicando i loro diritti… Anche se i tutori non ci sono o se sono stati nominati, troppo spesso non hanno mai visto il minore. Il risultato poi di queste proteste è troppo spesso il medesimo dell’allontanamento: la perdita dell’accoglienza.
Queste situazioni sono supportate dalla perenne emergenza che favorisce gli enti gestori “professionisti dell’accoglienza”, che gestiscono contemporaneamente anche decine di centri di disparata natura: centri per minori, CAS, SPRAR, hub, hotspot, addirittura CPR (gli ex CIE). Capita così che enti come Sol.Co., Badia Grande, Aquarinto, Azione Sociale, gestiscano uno SPRAR e un CPR, pur dovendo avere in teoria alle spalle due filosofie diverse, o che risparmino sul personale qualificato, mettendo a disposizione per tutti, di fatto, lo stesso gruppo di lavoro (psicologo, operatore legale, mediatore, ecc.)
Ma alla violenza sui minori segue quella sugli adulti. Le persone sbarcate vengono dimenticate per settimane in centri emergenziali come quello della Caritas di Palermo (nonostante lo sforzo dei volontari), e continuano ad essere respinti in maniera collettiva, solo sulla base della nazionalità: centinaia di migranti, come i circa 150 nord africani della scorsa settimana, fra i quali vi erano due donne marocchine deportate al CPR di Ponte Galeria di Roma in stato di gravidanza. L’unica salvezza per loro è come al solito la fortuna di incontrare associazioni di tutela e volontari che li prendano in carico
Quel che è certo – e che si evince con chiarezza dagli sguardi e dal peso che si portano dietro le persone che incontriamo quotidianamente – è che si continua a speculare sulla pelle dei migranti, anche dei più piccoli.
Ci auguriamo che K. possa un giorno riabbracciare lo zio e che il futuro gli riservi uno scampolo di felicità.