Strage dell’11 ottobre: bimbi e genitori dispersi

Espresso – Questi sono i sorrisi, gli sguardi, la vita di decine di bambini siriani, delle loro mamme, dei loro papà di cui i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea non hanno voluto occuparsi. Sono i volti e i nomi dei profughi dispersi nel naufragio dell’11 ottobre, a 60 miglia a Sud di Lampedusa, in un tratto del Canale di Sicilia profondo tra gli 80 e i 100 metri. Sono soltanto alcuni dei 242 corpi abbandonati in mare: “Li hanno dati in pasto ai pesci”, protesta uno dei parenti. E’ raccapricciante pensarlo, ma è andata proprio così. Queste fotografie ricordano le vittime dell’11 ottobre nella loro quotidianità. E non sono tutte le vittime, ma solo quelle segnalate: più di settanta persone di cui non si sa più nulla.
I loro familiari dalla Svezia, dalla Norvegia, da Dubai chiedono con una petizione che sia ispezionato il relitto, siano recuperate le salme e sia aperta un’inchiesta. Dopo la prima operazione di soccorso, Malta e l’Italia hanno infatti dimenticato lo scafo e il suo contenuto umano. Dei 268 morti nel naufragio, soltanto 26 cadaveri sono stati raccolti dall’acqua, quando la Marina militare maltese e i colleghi italiani hanno portato a terra 212 sopravvissuti. La maggior parte degli scomparsi probabilmente non verrà reclamata da nessuno: perché chiusi nel peschereccio in fondo al mare sono finiti interi nuclei familiari e perché dalla Siria le comunicazioni sono impossibili. Alla fine troverete le foto e l’elenco dei capi di Stato e di governo che, nell’ultima riunione di ottobre 2013 del Consiglio europeo, hanno deciso che la strage dei profughi non meritasse alcuna urgenza. E hanno rinviato la questione a giugno 2014, dopo le elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento.

Taghrid Muhriz, 31 anni, da qualche mese abitava in Libia con il marito e le figlie gemelle Cham e Lamar, 5 anni. La famiglia aveva lasciato la Siria all’inizio della guerra civile. A Tripoli, Taghrid aveva trovato lavoro in un centro estetico, il marito in una panetteria. A causa delle continue sparatorie tra le milizie e l’instabilità in Libia, i genitori delle due gemelline avevano deciso di raggiungere il resto della famiglia in Norvegia, dove da anni abita un fratello di Taghrid. Una decisione abbastanza improvvisa, quando tra i siriani in esilio a Tripoli si è sparsa la voce della partenza da Al Zuwarah di una nave sicura per l’Italia. Il fratello in Norvegia non sapeva nulla del viaggio. Soltanto il papà e la piccola Lamar sono stati ripescati. L’uomo per giorni ha cercato nell’elenco dei sopravvissuti e tra le foto dei pochi cadaveri raccolti. Qualcuno dei superstiti ha raccontato di aver visto sua moglie e la bambina vive in acqua. Un altro di avere passato la bimba a un soccorritore su un canotto gonfiabile. Ma alla fine si è scoperto che non era Cham, non era la sua mamma. Taghrid da quattro mesi aspettava un bambino che sperava di far nascere in Europa.

Salah Aldin Sibaei, 45 anni, sua moglie Manal Eyoun e i loro quattro figli, Bilal, 15 anni, Yaman, 12, Homam, 10 e la piccola Raghad, 4 anni, erano sul peschereccio affondato a 60 miglia a Sud di Lampedusa. Un parente, un medico urologo, li sta cercando. Ma di tutta la famiglia Sibaei, dei loro corpi, non si sa più nulla.

Mohamed Jafar Izoli, 19 anni, ha lasciato la Siria quando era ancora minorenne. Una parte della sua famiglia abita negli Emirati Arabi Uniti. Mohamed Jafar è salito sul peschereccio poi affondato dopo aver tentato inutilmente per due anni di ottenere un visto regolare per uscire dalla Libia. Racconta la sorella Ola, che vive a Dubai: “Abbiamo cercato di farlo venire negli Emirati ma il suo visto turistico era scaduto. E qui non danno più permessi di residenza ai siriani. Mohamed era ancora in Siria. Un suo amico l’ha chiamato dalla Libia e gli ha consigliato di andare lì. Per prima cosa, lo abbiamo mandato in Egitto in attesa che compisse i 18 anni, altrimenti la Libia non lo avrebbe lasciato entrare. Ma gli egiziani trattano i siriani molto male. Diventato maggiorenne, mio fratello è passato in Libia. Ha lavorato senza contratto, così a volte i padroni non lo hanno nemmeno pagato. I padroni hanno anche tentato di violentarlo. Mohamed è riuscito a scappare, era terrorizzato e non si sentiva affatto sicuro. Non poteva però rientrare in Siria, perché i rivoluzionari libici timbrano il passaporto e tutti i siriani che tornano dalla Libia passano dei guai. Ma anche andare in altri Paesi arabi e non arabi era impossibile. Nessuno concede il visto a un ragazzo siriano. Così fuggire su una barca era per lui l’unica soluzione per mettersi al sicuro”.

Di fronte alle stragi e ai 646 morti annegati in tre diversi naufragi nei primi undici giorni del mese, tra i quali una sessantina di bambini siriani e sedici bimbi eritrei, i capi di Stato e di governo europei hanno deciso di prendere tempo e di rinviare a giugno 2014 una “riflessione a lungo termine sulle politiche dell’immigrazione”.

Fabrizio Gatti

Firma la petizione per aiutare i familiari a ritrovare i propri cari