Report della Campagna LasciateCIEntrare dal CARA e CIE di Pian del Lago
La campagna LasciateCIEntrare ha chiesto l’autorizzazione a far entrare al CIE ed al CARA di Caltanissetta una delegazione di attivisti per il giorno 8 settembre. Nella risposta viene esplicitato che alcuni componenti non possono entrare, senza specificare le motivazioni e senza dare una risposta ad una nostra richiesta presentata per iscritto. Nel CIE possono, invece, accedere solo 3 persone per motivi di sicurezza. In passato siamo entrati nei CIE anche con delegazioni di 15 persone.
Inoltre il testo così recita: “Si ricorda che gli eventuali colloqui con gli ospiti maggiorenni dovranno essere condotti previa informativa sul loro scopo ed utilizzo finale e gli immigrati prescelti dovranno rilasciare il proprio consenso libero ed informato”. Ancora una volta, come da molti mesi a questa parte, ci viene detto che non possiamo fare riprese video e fotografiche.Limitazioni di numero di persone all’accesso. Limitazione di parola. Niente foto. Niente riprese. Cos’hanno da nascondere per costruire tante barriere?Come Campagna ci battiamo da anni per il diritto all’informazione, facendo in modo che i migranti possano portare la loro voce al di fuori di un luogo in cui sono resi invisibili e silenziati. Adesso si sta facendo di tutto per rendere invisibile anche la voce della società civile.Sappiamo che all’interno del centro di identificazione ed espulsione sono da poco arrivati cittadini del Maghreb sbarcati da alcuni. Considerando l’alto numero che registriamo negli anni di respingimenti illegittimi, decidiamo comunque di accettare ed entriamo. Proviamo a squarciare il silenzio. La delegazione è composta da Yasmine Accardo, Pinuccia Rustico, Salvatore Cavallo e Giovanna Vaccaro.Il primo passaggio che si effettua, entrando nel centro governativo di Pian del Lago (il quale, oltre al CIE, comprende due aree adibite a Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo, se così può definirsi un’area allestita con container), è quello alla postazione dei militari addetti al rilascio del pass d’accesso al centro, su consegna dei documenti di identità e dopo un’ispezione degli zaini e borse che abbiamo con noi. Il controllo con il metal detector pare invece essere riservato agli ospiti ogni volta che entrano ed escono.Mentre attendiamo di ricevere tutti i pass, alcuni giovani migranti che erano fuori dai cancelli, si avvicinano a noi con dei certificati di nascita dai quali risultano minori. Li segnaliamo al responsabile della Questura che dice loro di attendere e che presto qualcuno dall’ufficio sarebbe andato a prenderli per identificarli. Chiediamo quale sarà la procedura e ci dice che , dopo i rilievi fotodattiloscopici , sarà la stessa Questura a cercare una comunità dove poterli collocare. L’ufficio addetto del Comune non sembra in effetti essere attivo in questo senso.Se non ci fosse stato il fortuito incontro con noi, questi minori sarebbero stati destinati ad attendere intere settimane insieme alle altre decine di migranti che avevamo visto fuori dai cancelli, seduti sotto il sole, prima di riuscire ad accedere agli uffici della Questura, che sono stati trasferiti da alcuni anni all’interno del centro di Pian del Lago. Così, qualsiasi cittadino straniero debba disbrigare qualsiasi tipo di pratica che riguardi il suo status, è costretto a recarsi in questo luogo militarizzato. Lungo il tragitto di 6 chilometri che separa la città dal centro, abbiamo incontrato diversi gruppi di migranti a piedi. Percorrono 6 chilometri ad andare e 6 per tornare. Qui non passano mezzi pubblici. Centinaia di persone camminano su una strada in gran parte senza marciapiede, e che di sera non ha illuminazione.Qualcuno su questa strada ci è anche morto, investito da una macchina, di sera.Le gran parte dei migranti che siedono fuori dal centro aspettano dunque di poter essere identificati e fare richiesta di protezione internazionale. Per poter gestire il grande afflusso di richiedenti asilo che si presentano quotidianamente, la Questura ha messo in atto la (dubbia) prassi di raccogliere i loro nomi in una lista informale e di chiamarli, di volta in volta, seguendo l’ordine della lista, in base alla disponibilità di posti nei centri di accoglienza. Solo a quel punto i migranti (che rimangono in attesa per settimane) vengono identificati e possono formalizzare la domanda d’asilo, per poi essere traferiti in centri di accoglienza della provincia e di tutto il territorio nazionale. Ci dice il responsabile della Questura che, dallo scorso mese, vengono effettuati circa 200 traferimenti settimanali verso strutture del centro e nord Italia.Ci dice anche che molti migranti vengono a chiedere asilo a Caltanissetta nonostante non sia un luogo di frontiera, perché i tempi di rilascio dei permessi sono più brevi che altrove e ci dice chiaramente che per evitare la ressa, anche l’ufficio Immigrazione della Questura si è adeguato alle altre questure dilungando i tempi di rilascio del permesso. L’adeguamento può considerarsi raggiunto con successo, poiché anche per il rinnovo del permesso di soggiorno c’è un’attesa di ben 8 mesi, e, nel frattempo, la sola documentazione che rimane in possesso del cittadino straniero è un foglietto senza timbro ne’ intestazione, recante solo la data dell’appuntamento del giorno in cui verrà presa in carico la pratica e rilasciato il cedolino attestante la pendenza della procedura di rinnovo del permesso di soggiorno.Ad accompagnarci nella visita ci sono anche il rappresentante della Prefettura (Vice-prefetto aggiunto e presidente della Commissione Territoriale) e diversi operatori dipendenti dell’ente gestore Auxilium, tra i quali operatori generici, informatori legali e asssistenti sociali. Con questo seguito cominciamo la nostra “visita” del centro governativo di Pian del Lago.Il centro è formato da due parti: una più piccola costituita da blocchi di cemento ed una grande area costituita da container. Dietro queste strutture, doppiamente recintato con sbarre altissime, di oltre nove metri, si erge il CIE presidiato dalle diverse forze dell’ordine (carabienieri, guardia di finanza, carabienieri) e dall’ esercito.Davanti al cancello si trovano le aree amministrative: l’ufficio dove la PS sottopone agli esami fotodattiloscopici i migranti.Nella zona antistante il CARA si riunisce la Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato. In media i tempi di attesa per la data dell’audizione che ci vengono comunicati dal rappresentante della Questura sono di 8- 12 mesi, sempre che il richiedente non risulti già foto-segnalato in un altro Stato. In questo caso passano altri due/ sei mesi per gli accertamenti necessari in base al regolamento Dublino.Il rappresentante della Prefettura-Presidente della Commissione, ci spiega che la Commissione è attiva tutti i giorni ed effettua giornalmente una media di 12 audizioni. Per i trattenuti nel CIE ci viene detto che il tempo di attesa per le audizioni è ridotto a due settimane dalla convalida del trattenimento e la decisione della Commissione è pressochè immediata. Quindi i tempi dell’intera procedura ammontano a 20 giorni circa.La direttrice del centro ci comunica che le persone attualmente trattenute nel CIE sono 65, mentre nel CARA ci sono 496 richidenti asilo ( 362 nel CARA e 134 nel CDA, nonostante la differenza di denominazione, sono entrambi usati come CARA e permane una divisione solo spaziale). Le nazionalità principali di provenienza sono: Pakistan, Afghanistan, Mali.I tempi di permanenza all’interno sono di 14 mesi . Una volta ottenuto il permesso di soggiorno, ci tiene a precisare il responsabile della Questura, “vengono immediatamente – citando testualmente le sue parole- sbattuti fuori dal centro”.Ci viene detto che al momento non ci sono donne. Vediamo passare una donna con passeggino. Sarà una migrante diretta soltanto all’ufficio immigrazione. Non abbiamo modo di chiedere. Veniamo condotti velocemente verso la zona delle case di cemento. Vorremmo entrare con calma ma il rappresentante della Questura sottolinea che entreremo nel CIE se ci sono le condizioni ed il tempo. Aumentiamo il passo,guardiamo da lontano la zona delle case di cemento. Qualcuno è appeso con le mani alla rete che separa il blocco dal resto del centro. Guardiamo attraverso la porta di uno degli edifici in miniatura, ma vediamo solo alcuni migranti uscire e guardarci. Nessuno di loro si avvicina, né sembra aver voglia di parlare. Gli occhi fissi nel vuoto.Intanto accelleriamo il passo e ci dirigiamo verso la zona container, mentre ci viene illustrato come funziona bene il servizio informativo legale ed il servizio formazione lavoro ed i progetti in corso. Secondo loro ogni servizio funziona alla perfezione. Quando poniamo alcune domande sul trattamento riservato ai soggetti vulnerabili, intervengono immediatamente le psicologhe.Da quello che ci viene raccontato sembrerebbe che una folta schiera di operatori generici e specializzati siano al servizio del centro: ben 106 è il numero totale di operatori che ci viene comunicato. E qui sorge il grande mistero dei mediatori, appena 8, che supportano gli operatori addetti ai servizi alla persona: gli assistenti sociali si appoggiano a loro, le psicologhe svolgono i colloqui supportati da loro, i medici comunicano con i pazienti attraverso loro, e, ovviamente, anche gli informatori legali non possono che affidarsi a loro per assicurare il servizio di consulenza legale.Intanto ci guardiamo intorno. I migranti seduti a terra o che gironzolano intorno alle case container(35 in tutto): un deja vu. Vorrebbero avvicinarsi ma siamo circondati da un muro di operatori. Desistono. Cosi proviamo ad avvicinarci anche solo per vedere meglio nelle case container: uno splendido esempio di slum! Letti a castello, almeno 12/ 14 posti. Rigorosamente spazi angusti.I migranti si portano il cibo lì. All’esterno di ognuno un condizionatore in bell’esposizione. “Funzionano?” “Certo!” è la risposta, eppure da sempre gli ospiti che incontriamo furoi dai centri ci dicono di soffrire il freddo di inverno e morire dal caldo in estate.I servizi igienici di questa parte di centro sono anch’essi allestiti in container, ciascuno dei quali è fornito di 6 docce 12 wc. Ci sono poi altri 2 container più piccoli, ma non funzionanti. In totale, sommando i due tipi di strutture, ci sono circa 48 wc! Un numero assolutamente inadeguato alla capienza del centro, soprattutto tenendo conto che solo il 10% di questi risulta essere funzionante. Ovviamente le condizioni sono pessime. Il fetore si sente dall’esterno. Da uno cola liquame. ” Si lo sappiamo abbiamo chiesto di farli cambiare!” risponde pronta la direttrice che aggiunge, che, finalmente, il giorno dopo sarebbero arrivati quelli nuovi. Decidiamo di andare oltre mentre ascoltiamo la psicologa che ci illustra i programmi per soggetti vulnerabili. Ci basta lo sguardo sospeso di 4 ragazzi pakistani: la delusione, il dolore, la resa.Un’operatrice ci spiega che ad ogni ospite viene consegnata una chiavetta che viene ricaricata con 2,50 euro al giorno utilizzabile solo all’interno del Cara per acquistare bevande, sigarette o schede telefonicheAi richiedenti asilo non vengono mai dati contanti.Quando possono uscire dalla struttura e andare in città non possono ne’ comprare un biglietto dell’autobus ne’ prendere un caffè, dovessero mai entrare nel mondo fuori dal ghetto . La risposta di sempre rispetto alla possibilità del pagamento in cash è: non è possibile e la modalità di erogazione adottata da loro è quella prevista nel capitolato d’appalto. Quando facciamo loro notare che altri centri si sono attrezzati per garantire l’erogazione del pocket money in contanti, la direttrice del centro e il rappresentante della Prefettura ne parlano come una prassi sbagliata che causa loro anche delle difficoltà..Gli orari di entrata e uscita dal centro sono dalle ore 10 del mattino alle ore 20, ma dipende dall’operatore a cui si chiede, perché alla stessa domanda altri hanno risposto dalle 8 alle 19, aggiungendo che però c’è la massima elasticità sull’orario.. forse è dovuto a questa l’approssimazione numerica..Corriamo alla mensa. Una stanza con pochi tavoli. La distribuzione del cibo dura un’ora e mezza.Ci sarà posto per 60 persone al massimo. Eppure in questa parte di centro ci vivono in 362. Chiediamo se le quantità di cibo siano sufficienti. ” Certo ce n’è anche per il bis!”. Sulla qualità non possono che ammettere le continue proteste , ma per comprovare la bontà del cibo ci dicono che loro lo mangiano ogni giorno senza problemi. Il catering è ovviamente esterno e se ne occupa la stessa ditta che fornisce i pasti dei centri gestiti in provincia di Roma (CARA di Ponte Nuovo e Cie di Ponte Galeria).Si fa di tutto perché ognuno mangi tranquillo nella propria stanza, pazienza se è un container con altre 12 persone senza sedie e con i letti a castello .Chiediamo informazioni sui servizi di assistenza alla persona e sullo staff specializzato predisposto. I mediatori e interpreti sono i soliti 8, impiegati sia nel CARA che nel CIE. Si occupano in totale di 480 persone (in un regime di capienza ordinaria). Mentre gli operatori che assicurano l’informativa legale agli ospiti del CARA sono 4, nessuno con il titolo di avvocato ne’ una laurea in giurisprudenza. Avendo per anni raccolto le lamentele degli ospiti rispetto a questo servizio che viene spesso descritto come inesistente, chiediamo agli operatori legali l’orario di servizio: “tutti i giorni, 8 ore al giorno”. Alla richiesta di precisazioni relative agli orari nei diversi giorni della settimana, l’orario di servizio che ci viene illustrato dettagliatamente si ferma al martedì; poi si ritorna alla spiegazione generica della mattina e pomeriggio, un po’ qui e un po’ lì.La lista degli avvocati consigliati dal servizio di informativa legale, sono quelli dell’elenco di legali abilitati al gratuito patrocinio redatto dal Consiglio dell’ordine del Tribunale di Caltanissetta e trasmesso all’ente gestore dalla Prefettura. In realtà, capita di frequente di vedere in città ex-ospiti del CARA con i biglietti da visita di avvocati che sono stati loro consigliati dal servizio di informativa legale del cara, e i nomi degli avvocati consigliati sembrano essere sembre gli stessi 6-7.Chiediamo informazioni sul corso di Italiano. Quando chiediamo come vengono divise le classi (tre in totale), ci viene detto che è tutto affidato a tre insegnanti (per oltre 480 persone!?). Chiediamo se si tiene in considerazione la presenza di molti analfabeti in lingua madre. Non ci sono risposte. Ci viene invece detto che alcuni seguono il corso per ottenere il diploma di scuola media. Uno su mille ce la fa! Ci viene poi detto qualcosa su attività di artigianato ma non è chiaro a cosa si riferiscano. Nel CIE sono detenuti attualmente 65 migranti, a fronte dei 96 posti disponibili. Sono prettamente di origine maghrebina: 20 di nazionalità tunisina, 22 marocchina, 22 di nazionalità egiziana, un algerino e un georgiano. Prima di entrare il rappresentante della Questura davanti all’intero staff ci dice con grande orgoglio che la percentuale di rimpatri del CIE di Caltanissetta supera l’80%: 800 rimpatri dall’inizio del 2015 e 1500 nel 2014.Le convalide del giudice di pace avvengono sempre entro le 96 ore. Chiediamo se sia possibile prendere visione dei procedimenti di convalida, ma non ci viene concesso. Chiediamo se ci siano interpreti ed ogni migrante abbia un avvocato. Ci viene risposto di sì a tutto.Diversi provano a fare richiesta di protezione internazionale, valutata in pochissimo tempo, scarso il numero di quelli che riescono ad ottenerla. La visita è lampo. Non facciamo in tempo a scambiare le prime parole con un gruppo di marocchini che si affollano alle sbarre, che ci viene detto che” per questioni di sicurezza” possiamo parlare con i migranti ad uno ad uno e solo all’interno di una stanza-container separata dai blocchi. Restiamo interdetti. Continuiamo a parlare con i migranti.Attaccati alle sbarre intercettiamo subito il volto di due probabili minori. Ci chiedono perché sono lì. Ci dicono che non vogliono restare. Ci sono altri minori, in tutto cinque. Chiediamo com’è possibile che siano lì. Ci viene risposto che hanno già attivato le pratiche per l’rx del polso per il controllo dell’età.” I minori qui non ci dovrebbero nemmeno arrivare” rispondiamo. Chiediamo ai migranti se hanno fatto richiesta di protezione internazionale. Alcuni dei quali con cui riusciamo a parlare non vogliono restare in italia. Se ne vogliono andare. Sembra che nessuno li abbia informati che da dove si trovano adesso, senza richiesta d’asilo, ci sarà il rimpatrio. Credono che staranno un po’ lì, non capiscono ancora per quale motivo. Credono che verranno rilasciati. Alcuni sbarcati da pochissimi giorni, ci guardano increduli: perché siamo qui? Quanto ci resteremo?Non riusciamo a finire di parlare e veniamo invitati ad attendere i migranti all’interno della stanza apposita. “vogliamo parlare con tutti!”. “certo” ci rispondono. Ma non vicino alle sbarre. Non possiamo vedere dove vivono. Non possiamo avvicinarci. Animali in gabbia.Entriamo nella stanza ammessa per le interviste ed incontriamo un uomo iracheno che non vuole saperne di fare richiesta d’asilo in Italia.Vuole andare in Germania. Dove è già stato e da dove è stato poi buttato qui dentro. Ha provato a fare lo sciopero della fame, ma senza ottenere nulla. Non può sentire nessuno della sua famiglia. Sono nel deserto e non ci sono telefoni. E’ disperato. Ha urgenza di farli venire in Europa. Ci mostra le foto dei figli e della moglie. Ha anche una lombosciatalgia che gli provoca continui dolori che non gli curano, se non con antidolorifici. Chiede aiuto. Vuole andarsene. Vuole sapere quando. Deve ricongiungersi al più presto con la sua famiglia. Qui gli creano problemi con i documenti. E’ iracheno ma non gli credono. Il ragazzo che traduce è egiziano, detenuto anche lui, sottolinea che lui parla un altro arabo.Il ragazzo che sta traducendo è stato accusato di scafismo. Ha scontato 3 anni di carcere, dovevano essere quattro, ma sono stati ridotti per buona condotta. In tre anni non ha mai visto il console. Poi è stato portato qui. Ha un avvocato che lo difende. Continua a ripetere che è stato incastrato e che lui non è uno scafista.Finito questo colloquio sotto stretto controllo di due persone dello staff, ci alziamo ed andiamo nuovamente a parlare con i ragazzi che ci aspettano alle sbarre. Le informazioni sono rapide, si accavallano l’un l’altra. C’è grandissima confusione. Si aggrappano letteralmente a noi per capire. Per sperare di uscire.Ci sono due giovani libici, ma qualcuno ha deciso che fossero tunisini. Al momento dell’identificazione da parte del Console tunisino, non sono stati riconosciuti da quest’ultimo, ma restano ancora lì. Non vogliono chiedere asilo in Italia perché vogliono arrivare in Germania e nel frattempo attendono là dentro che scorra il tempo massimo del trattenimento, per poi uscire. Non hanno mai parlato con un avvocato e pare non abbiano compreso l’importanza di farlo. Vogliono andare in Germania e pensano di poterlo fare tranquillamente, una volta usciti dal CIE.Alcuni sono arrivati da due giorni e vengono da Pozzallo, dove sono sbarcati, ma molti non conoscono neanche il porto di arrivo. Molti di quelli con cui riusciamo ad interagire sono egiziani e tunisini “perché dopo tutte le sofferenze del viaggio anche questo?”. Uno parla per tutti, dice di essere siriano e che lui lì proprio non ci potrebbero stare. Vuole sapere perché hanno messo lì anche dei minori. Li fa avvicinare, prendiamo i loro dati. Ognuno dei migranti ci vuole comunicare dati e nomi.C’è chi ha fatto richiesta di protezione internazionale e grida” ho chiesto asilo! Perché non mi fanno uscire?”. Mentre parliamo ci viene continuamente ripetuto che dobbiamo andarcene.” E’ l’ora delle visite. E’ l’ora della terapia”. Proviamo almeno a finire di ascoltare qualcuno. Ma è impossibile. Troppi tutt’insieme. Cerchiamo fino all’ultimo di prendere e dare informazioni, ma poi siamo costretti ad uscire.A quel punto, cerchiamo allora di capire di che terapie si tratta, visto che la nostra visita è stata interrotta per questo motivo, e la dottoressa ci risponde che si tratta di cure generiche ed esclude che alcuni dei migranti trattenuti i in questo momento siano sottoposti a terapie a base di psicofarmaci.Usciamo frastornati. Questa non è una visita. E’ durata circa mezz’ora. Senza poter parlare davvero con tutti, come avremmo voluto. Quello che sappiamo è che queste persone non sono consapevoli dei propri diritti. Quanto tempo può resistere un uomo in una gabbia senza conoscerne il motivo? Senza aver commesso alcun reato? Colpevole per essere salito su una barca? Di essere della nazionalità sbagliata? Come è potuto succedere che sia stato convalidato il decreto di trattenimento di sedicenti minori, prima dell’esito dell’RX?Segnalati a Save the Children i casi dei sedicenti minori presenti nel CIE, ci viene risposto che dalla verifica prontamente effettuata (ad eccezione di uno che è già stato collocato in comunità) tutti gli altri sono risultati maggiorenni e che sono tutti seguiti da un avvocato. Non sembra sorprendere la convalida di trattenimento nonostante la dichiarazione della minore età, prima dell’esito dell’esame RX. Altra grande incognita è come sia stato possibile che gli avvocati che assistono questi sedicenti minori, non si siano opposti all’illegittimo trattenimento precedente all’esito degli esami.Venerdì 11 Settembre abbiamo appreso che sono stati messi su un autobus direzione aeroporto 21 cittadini egiziani, tra cui tre minori e due richiedenti asilo (ma potrebbero essercene di più). A questo gruppo di persone vengono sottratti i cellulari. Molti di loro non avevano nemmeno fatto la convalida di trattenimento. Non abbiamo avuto modo di avere notizie più precise. L’avvocato che segue alcuni di loro , che è appartenente al foro di Catania dove segue già decine di richiedenti asilo del CARA di Mineo, ci chiama per chiederci come può opporsi al respingimento. Nel gruppo ci sono quattro suoi assistiti. Cosa deve fare: ” Ricorso ex art 39 CEDU”. Un avvocato che si occupa di immigrazione e diritto d’asilo dovrebbe saperlo. Altrimenti c’è da chiedersi cosa effettivamente questi avvocati possano fare per i loro assistiti e quali le conseguenze di questa impreparazione nel riconoscimento dei diritti di questi ultimi. Ci sono avvocati che seguono centinaia di ricorsi annui e non si comprende dove trovino oggettivamente il tempo di prepararli.Il patrocinio riconosciuto dallo stato frutta di più sui grandi numeri.Intanto non si sa che fine abbiano fatto queste 21 persone.Lunedì 14 Settembre un altro gruppo di 10 tunisini arrivati da 48 ore nel CIE vengono anch’essi rispediti in Tunisia. Nessuno di loro ha incontrato il giudice di pace per la convalida.
Yasmine Accardo, Giovanna Vaccaro, Pinuccia Rustico, Salvatore Cavalli.