Pozzallo: quasi tremila persone alla fiaccolata di sabato
“A Pozzallo arriva la sabbia del deserto qualche volta e copre di rosso tutto il paese, i panni stesi, le macchine, le strade”, mi racconta una signora nella piazzetta del paese, verso sera, quando l’aria già è più fresca e le vie di questo paesino di circa ventimila abitanti, uno dei paesini più a sud della Sicilia, si riempiono di passanti.
Pozzallo vive di mare, mi raccontano i ragazzi del caffè letterario “Rino Giuffrida”, gestito da Enzo e Mario e frequentato da molti ragazzi del paese, un po’ di tutte le età. Si respira un’aria speciale qua, un’aria ridente e fresca, che avvolge e accoglie tutti quelli che salgono le scalette del caffè e arrivano nella veranda. Questa grande famiglia si impegna, già da alcuni anni, a coinvolgere i giovani migranti che sbarcano nel porto del paese, organizzando con loro diverse attività (lezioni di lingua italiana, teatro, spazi musicali) e rappresentando un punto di incontro e accoglienza alternativa.
Negli ultimi mesi sono sbarcate moltissime navi a Pozzallo. Da gennaio migliaia di migranti sono stati trasportati fino a queste spiagge dalla marina militare impegnata nell’operazione Mare Nostrum. Anche ieri sono arrivati 500 migranti. Lo scorso 1 luglio, un peschereccio con a bordo 566 persone, di cui 45 morte, è stato trasportato fino a qua.
Nel primo pomeriggio di sabato accompagno Enzo in uno dei centri di prima accoglienza per minori non accompagnati del paese. Ce ne sono due a Pozzallo, entrambi organizzati in strutture di proprietà della diocesi e gestiti dalla cooperativa San Domenico Savio. Enzo ha portato alcuni vestiti raccolti in paese per i ragazzi. “Danno loro tute da ginnastiche pesanti, e con questo caldo sono tutti costretti a tagliarle”, mi dice “hanno bisogno di indumenti più appropriati e costumi da bagno”.
Gli operatori che lavorano presso il centro di accoglienza non sono sempre stati disponibili a collaborare con i ragazzi del caffè letterario per organizzare attività di condivisione e animazione. Interessi politici, idee differenti e pregiudizi limitano forse spesso l’apertura ad una collaborazione fertile e positiva tra le diverse realtà locali impegnate nell’accoglienza dei migranti.
Per le 21 di sabato la chiesa di Noto e il comune di Pozzallo hanno organizzato una fiaccolata e veglia di solidarietà con le ultime vittime del mare. Il pomeriggio è ancora lungo; decido allora di visitare il CPSA all’interno del porto. Al suo interno vi si trovano anche le persone arrivate lunedì scorso. So che non mi lasceranno entrare, ma decido comunque di provare. Nel cortile interno della struttura alcuni giovani si sgranchiscono le gambe e chiacchierano seduti per terra davanti a una decina di poliziotti annoiati sotto un sole caldissimo.
Riesco solo a parlare brevemente con l’operatrice di servizio che mi dice che nel centro, vi sono attualmente 400 persone (nonostante la struttura abbia ufficialmente solo 180 posti). Un centinaio di loro verrà trasferito presto al centro di Comiso. Le chiedo se sono presenti minori e mi risponde che non ha precise informazioni a riguardo; che ancora non ha controllato attentamente la lista degli arrivati. Al momento i migranti non sono autorizzati ad uscire liberamente dal centro. La sera alla veglia un ragazzo del Gambia mi conferma questo fatto aggiungendo una nota di frustrazione: “Vorremmo uscire, andare al mare, incontrare persone”.
Sabato sera alle nove i pozzalesi e i ragazzi di tutti i centri di prima accoglienza della zona si ritrovano al molo per una fiaccolata silenziosa che partendo dal molo attraversa il corso principale del paese fino alla chiesa madre, dove continua con un momento di preghiera in chiesa, un momento di riflessione e solidarietà con gli ultimi migranti arrivati e con quelli che invece non ce l’hanno fatta. Circa tremila persone sono presenti. Nel cortile fuori dalla chiesa i ragazzi dei centri di accoglienza, quasi tutti di religione musulmana, si riuniscono per un loro momento di raccogliemento e preghiera.
Seduti poi sul muretto della recinzione scambiano chiacchiere e saluti con operatori, giornalisti e abitanti del paese. Mi avvicino e mi siedo su una panchina di pietra vicino a loro. “È un momento triste e felice allo stesso tempo”, mi dice un ragazzo del Gambia seduto accanto a me. Mi racconta di essere arrivato proprio su quel barcone, una settimana prima, con due fratelli più piccoli. Uno di loro non ce l’ha fatta ad arrivare. Mi racconta del lungo viaggio attravero il deserto, di come molte persone vengano abbandonate, maltrattate e uccise molto prima di arrivare sulle coste libiche. “Ma i mesi in Libia sono stati la cosa più lunga e difficile” racconta, “ lì, non si può neanche camminare per la strada tranquillamente. Eravamo trattati come un branco di animali, chiusi in stanze piccolissime per settimane, stretti l’uno all’altro. Io ho perso venti chili in questo viaggio”.
Si avvicina un gruppetto di ragazzini più piccoli, tutti tra i 16 e 17 anni. La maggior parte viene dal Gambia; qualcuno dal Mali, qualcuno dal Senegal. Sono arrivati circa un mese fa, e non sanno quanto tempo ancora resteranno nel paese. I loro sorrisi e la loro dolcezza e semplicità avvolgono. Sono contenti di parlare perché incontrano poche persone che sanno l’inglese. Mi dicono che tutti sono molto gentili con loro ma che a volte è difficile comunicare.
Sono contenti di essere in Italia: mi parlano della spiaggia, delle persone e dei loro sogni di continuare a studiare, magari trasferirsi un giorno nell’Eruopa del nord. Sono tutti arrivati soli ma tra loro sembrano formare un bel gruppo. “ Siamo partiti tutti insieme” mi raccontano “in Libia siamo diventati amici”.
I ragazzi salutano i loro compagni maggiorenni che sono venuti alla veglia dal centro vicino al porto. “Qui ci hanno aiutato moltissimo” mi dicono “ci hanno dato vestiti e da mangiare e Pozzallo e il suo mare sono un luogo bellissimo”. Si guardano intorno e sorridono. In generale la solidarietà dimostrata mi è sembrata molta e significativa. Certo non sono mancati i commenti fuori luogo o comportamenti poco sensibili. Per esempio in molti si sono avvicinati ai ragazzi solo per fare una foto di gruppo o per riprendere i loro volti da vicino, senza rivolgere né un saluto, né una parola. “Ci sono un sacco di telecamere e fotografie e giornalisti” dicono i ragazzi intorno a me. Sembrano un po’ imbarazzati, tristi e riconoscenti allo stesso tempo.
Irene Leonardelli
Borderline Sicilia