LA RIMPATRIATA DEI NON RIMPATRIATI
Sommersi e salvati della Tunisia nella sala d’attesa del loro Consolato
Quattro fogli appesi al muro. Ecco quel che resta al Consolato tunisino di Roma dei migranti tunisini dispersi tra febbraio e marzo. Dispersi in mare perchè non sono mai arrivati? Forse in Francia, perchè in Italia non sono registrati e sono passati direttamente in Europa? Forse in giro altrove senza aver dato più notizie? E le famiglie hanno inviato i nomi delle persone che cercavano allora, da aprile in poi, e che alcuni cercano ancora. Nessun dato ufficiale di ritrovamenti nè tantomeno ricerche fa seguito a quegli A4 al muro.
Le date segnate sulla lista sono le più varie, in quei due mesi di arrivi continui: storie di persone non più rintracciabili; la lista è abbastanza vecchia, e non ci sono aggiornamenti, sul muro buio del consolato; così che forse guardando quattro pagine di nomi si può sperare che qualcuno abbia chiamato per dire di essere arrivato. Ma le belle notizie non trovano spazio su quelle pareti.
Non sono le uniche quattro pagine appese al muro, appena sotto se ne trovano altre: e sono molte di più. Sono le liste dei tunisini presenti in tutti i Centri di Identificazione ed Espulsione d’Italia. La lista è aggiornata a settembre 2011, fax mandati da Trapani a Torino passando per Bari e Bologna, e Roma: Ponte Galeria. Forse è aggiornata a settembre, prima dell’incendio del centro a Lampedusa e quindi di chiusura dello stesso, perchè dopo quella data nelle navi-prigioni dove per qualche giorno hanno sostato i tunisini il fax non si poteva inviare. E per loro dalla nave-CIE il passaggio è stato diretto all’aeroporto di Carthage.
Scorro i nomi delle persone internate nei diversi angoli del belpaese. Sapevo che Sayfuluddine era finito in via Corelli a Milano da dove chiamava per essere tirato fuori, chiedendo di un avvocato, chiedendo notizie del falco con cui era arrivato, parlando delle facili percosse in cui gli esuberanti del centro facilmente si imbattevano. “Marta, ma questo non è un centro” come io lo chiamavo per abitudine “questa è una prigione a tutti gli effetti”. Ma non ci sarebbe stato neanche un mese in prigione, il 5 ottobre era stato già rimpatriato. Ma quelle liste non ne parlano.
Continuo a scorrere i nomi delle persone e ritrovo quel Muhammad Amin che voleva farmi credere di essere minore: lo riconosco dal cognome e dalla data di nascita, 23.01.91,la vera data di nascita. Qualcuno della sua falsa dichiarazione come minore ne avrò fatto una battaglia per sbatterlo a Milo (il centro di identificazione ed espulsione di Trapani) senza riserve, come tutti i veri maggiorenni. Da rimpatriare.
Ma nella sala di attesa del consolato, dove i nomi dei connazionali dal destino sconosciuto o avverso sono su carta stampata appesi a un muro, i tunisini rimasti in Italia si rincontrano. Sembrano proprio scampati dalla morte o dalla sventura nera, qualcuno lo è proprio da poco.
Mounia è uscita venti giorni fa dal CIE Ponte Galeria dopo quattro mesi di reclusione, e dopo quattro mesi l’articolo 18 le permette di essere regolare per i prossimi sei mesi in Italia e vivere in una casa famiglia con altre donne strappate come lei alla serenità, dopo il divorzio in Tunisia.
“Sei libera” le han detto.
“Cosa?” Dopo quattro mesi le sembrava di non conoscere più questa parola.
“Che cosa significa libera?”
Puoi andare sei libera vattene.
In quella sala d’attesa Mounia rincontra casualmente Atraf: non si vedevano dai tempi di Ponte Galeria, quando lei le ha prestato il cellulare per chiamare in Tunisia, la telefonata per dire alla mamma a Mounastir di inviare la carta d’identità e poter dimostrare tramite attestazione consolare di essere veramente minore. A Linosa, arrivato nei giorni caotici dell’incendio a Lampedusa, giorni in cui nessuna organizzazione monitorava gli sbarchi, non gli avevan creduto. Neanche ad Agrigento in ospedale si poteva attestare si trattasse di un minore, in effetti è troppo a lto e robusto per sembrarlo. Ecco come un minore finisce in un centro di identificazione ed espulsione, rinchiuso.
E grazie alle telefonate dal cellullare di Mounia arrivò il fax della mamma di Atraf: ho veramente 17 anni e ho lasciato la Tunisia dopo che è morto mio padre. Ed adesso sono libero.
La rimpatriata tra tunisini non finisce: Ibrahim si chiama anche 5 aprile. Il giorno in cui è arrivato è anche il giorno dell’intesa tra Tunis e Roma, data a partire dalla quale tutti i tunisini non hanno più avuto il permesso per motivi umanitari in Italia, insomma quelli del 5 aprile, fiuuh, sono salvi per un pelo.
Anche lui ritrova un minore, di quelli che non hanno assaggiato la galera, piuttosto hanno conosciuto i lunghi trasferimenti sulle navi, quelli che da Lampedusa ad aprile conducevano chissà dove. Ora Shihab vive a Frosinone, da Sidi bu Sid a Frosinone, i 18 anni li ha compiuti ma partecipando ad una gara nazionale di boxer spera che la comunità dove si trova lo aiuti a rinnovare il permesso. A restare.
Perchè minori donne giovani uomini non chiedono che di poter restare. E di loro nel 2011 se ne è parlato abbastanza. Da quando la rivoluzione ha lasciato che abbanndonassero le proprie frontiere a quando il centro di Lampedusa bruciava. Adesso sembrano tutti scomparsi.
Alcuni lo sono davvero, altri sono in preda ad una scadenza o ad un rinnovo, alcuni si godono un permesso acquisito, infine altri sono stati rispediti a casa, anche perchè nessun nuovo business o accordo emergenziali faceva sì che si tenessero sul territorio italiano adesso.
Le liste dei consolati si impolverano, si impoveriscono di nuovo le loro storie: sono dispersi. O passati dall’accoglienza all’italiana alla stradina di casa che avevano lasciato: ma le loro vite e queste tracce di
Italia sull’altra sponda del Mediterraneo sono tutt’altro che sommerse, sebbene finora non siano state salvate.
Marta Bellingreri
Non tutti i nomi sono reali, quelli dei minori sono fittizi.
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