La politica di criminalizzazione degli «scafisti» e il sacrificio dei diritti umani
Meltingpot.org – Nel rapporto “Dal mare al carcere”, un’analisi delle difficoltà di un equo processo per chi è accusato di “scafismo”.
Il 15 ottobre scorso è stato pubblicato il Report curato da ARCI Porco Rosso e Alarm Phone con la collaborazione di Borderline Sicilia e borderline-europe dal titolo «Dal Mare al Carcere. La criminalizzazione dei cosiddetti scafisti» 1.
Pubblichiamo questo secondo approfondimento sul rapporto che si sofferma sugli aspetti processuali che coinvolgono i cosiddetti «scafisti». La prima parte è disponibile a questo link.
Un processo difficile
Occuparsi della tematica dell’immigrazione irregolare è cosa difficile perché si tratta di analizzare un fenomeno complesso e facilmente soggetto a pregiudizi politici ed ideologici.
L’immigrazione è un fenomeno strutturale che non appartiene solamente al nostro tempo e che richiede necessariamente un approccio e uno studio multidisciplinare non sempre facile. All’interno di questo fenomeno complesso, poi, vi sono temi decisamente più difficili di cui occuparsi perché subiscono maggiormente il pregiudizio politico e si prestano ad essere fraintesi. Uno di questi temi concerne sicuramente la figura dei cosiddetti «scafisti».
Il report «Dal mare al carcere. La criminalizzazione dei cosiddetti scafisti» ha affrontato un aspetto particolare del fenomeno migratorio concentrando l’analisi sulle modifiche introdotte all’articolo 12 Testo Unico Immigrazione dalla Legge 189/2002 (c.d. legge Bossi-Fini) che ha introdotto appunto l’ipotesi delittuosa del “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina“.
Un’analisi che è servita non solamente a dare dati sul fenomeno migratorio, sui reati e sui processi, ma soprattutto ad accendere una luce per illuminare un tema che sembra scontato.
Da questo punto di vista, è interessante sottolineare che sono molti gli avvocati che hanno parlato della complessità di dover affrontare un procedimento penale aperto nei confronti di un presunto scafista. “Una difficoltà legata al fatto che questi processi sono politicamente condizionati: nella caccia allo scafista, capro espiatorio a cui addossare ogni responsabilità, le garanzie processuali vengono meno e quei principi su cui dovrebbe fondarsi ogni procedimento penale vengono con leggerezza violati” 2. Capita spesso di trovarsi a dover affrontare processi con Procure che mostrano di essere molto agguerrite e che richiedono pene altissime, fino all’ergastolo. Il presunto scafista viene caricato di tutte le responsabilità rispetto all’immigrazione clandestina e diviene l’unico colpevole per le vittime delle traversate.
Gli scafisti stranieri, poveri e spesso senza alcun collegamento sul territorio sono l’anello debole di un sistema più vasto ed è difficile immaginare che una voce si possa alzare in loro difesa. Ecco allora che il processo diviene il palcoscenico ideale per dare un segnale politico e la punizione dello scafista è il miglior modo per farlo. Il presunto scafista, una volta individuato, viene di fatto isolato ed emarginato. Isolamento ed emarginazione che spesso rappresentano un ostacolo all’accesso ai propri diritti, ad un processo equo, al rispetto dei principi costituzionali in tema di pena.
Il ruolo della difesa
Il report evidenzia che il diritto il cui accesso è tutt’altro che scontato per una persona accusata di essere uno scafista è il diritto a una difesa piena ed effettiva.
L’ordinamento italiano prescrive che nel processo penale una persona accusata di un reato non può difendersi da solo ma deve ricorrere ad un difensore. Quando una persona indagata non sceglie uno specifico avvocato viene nominato un difensore di ufficio. Inoltre, quando una persona non ha le risorse economiche per sostenere i costi della difesa si può ricorrere all’istituto del gratuito patrocinio. In base a questo sistema disegnato dal nostro legislatore, il diritto di difesa viene assicurato, almeno formalmente, parimenti da un avvocato di fiducia e da uno di ufficio, sia per chi ha mezzi economici per sostenere le spese, sia per chi questi mezzi non li ha.
La realtà però è molto diversa. “La scelta di un avvocato è dettata dalle sue conoscenze e dall’esperienza in un particolare settore del diritto penale, dalla sua professionalità, nonché da una particolare capacità di comprensione con il cliente. Il difensore d’ufficio viene invece designato dallo Stato senza che ci sia un rapporto o conoscenza pregressa con l’assistito, impedendo che si instauri un rapporto di fiducia tra le parti, con il rischio che venga designato un avvocato con poca, se non nessuna, esperienza in processi complessi come quelli per favoreggiamento, con gravi conseguenze in merito all’effettività del diritto alla difesa dell’assistito”.
Si tratta di un tema che diviene ancora più stringente perché le persone accusate di essere scafisti sono, nella maggior parte dei casi, difesi da un avvocato d’ufficio e spesso fanno ricorso all’istituto del gratuito patrocinio. Una condizione che determina, quasi automaticamente, una situazione di sbilanciamento tra accusa e difesa. Una difesa in processi complicati come quelli a carico di persone accusate del reato di cui all’art. 12 TUI richiedono un lavoro di squadra e il difensore spesso dovrebbe essere coadiuvato da interpreti e periti anche per lo svolgimento di adeguate indagini difensive. Tutto questo richiede naturalmente una specifica preparazione professionale e la disponibilità di risorse economiche.
Strategie difensive
Nei processi contro presunti scafisti sono diverse le strategie che un avvocato può seguire.
a) Le testimonianze raccolte
La prima azione difensiva consiste nel verificare se ci sono stati errori procedurali commessi dalla Procura o dalla Polizia. Da questo punto di vista l’analisi delle testimonianze eventualmente raccolte diviene centrale per un difensore. I passeggeri ascoltati all’indomani di uno sbarco, infatti, sono anche loro imputabili per il reato di ingresso illegale in Italia (il cosiddetto ingresso ‘clandestino’) e quindi devono essere considerate persone indagate di reato collegato a quello dei “presunti scafisti” e pertanto sentiti dalle forze dell’ordine con l’assistenza di un avvocato, secondo le dovute garanzie di legge.
Inoltre, le dichiarazioni rese dai testimoni vanno vagliate con cautela perché essi hanno interessi a indicare chi guida, primo tra tutti la promessa di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia se rendono dichiarazioni accusatorie.
b) Auto-favoreggiamento
Nel corso di diversi procedimenti, si è sostenuto, da parte della difesa, che l’art. 12 TUI non possa applicarsi alla condotta di favoreggiamento posta in essere da uno dei migranti coinvolti nell’episodio di ingresso illegale a favore dei propri compagni di viaggio. È il caso tipico di un gruppo di migranti abbandonato dai trafficanti nelle ultime miglia del viaggio che raggiunga le coste italiane su un’imbarcazione da loro stessi condotta. Perché si configuri il reato di favoreggiamento occorre che vi sia una scissione di ruoli tra colui che favorisce l’ingresso illegale nello Stato e colui che viene favorito nell’ingresso medesimo. In altre parole il migrante favorito non può coincidere con il soggetto favoreggiatore indagato.
c) Stato di necessità
L’ordinamento italiano prevede che una persona anche se ha commesso un determinato reato non si possa ritenere colpevole quando, in qualche modo, sia stato costretto a commetterlo. Quindi, se un soggetto guida una barca per salvare sé o altri da un danno grave e ingiusto alla persona, non dovrebbe essere considerato colpevole perché l’ha fatto per necessità. Ecco allora che se la difesa riesce a provare che il migrante è stato minacciato o ha subito violenza per essere costretto alla guida, lo stato di necessità viene ritenuto esistente e l’imputato assolto. Con la sentenza del Tribunale di Palermo nella persona del GIP Gigi Omar Modica del 8 settembre 2016 per la prima volta si riconosce la scriminante dello stato di necessità a due persone accusate di essere scafisti che avevano dichiarato di essere stati costretti con violenza fisica e minaccia di morte a mettersi alla guida del natante.
Conclusioni
Il report, dunque, compie un’attenta analisi sul fenomeno della criminalizzazione dei cosiddetti scafisti. Un fenomeno che ha riguardato direttamente 2.500 persone negli ultimi 8 anni. Uomini accusati di aver svolto un ruolo determinante nel trasporto di migranti verso il nostro Paese.
Nelle conclusioni del report si evidenzia che purtroppo l’obiettivo politico di scovare lo scafista a tutti i costi porta a giustificare la violazione dei più basilari diritti umani. Diritti che vengono facilmente messi da parte dinanzi alla necessità di trovare un colpevole. Così:
- i metodi di identificazione utilizzati sono risultati spesso approssimativi;
- l’accesso a una difesa piena ed effettiva spesso non è garantito;
- anche un impianto probatorio debole può portare a pesanti condanne;
- la vita in carcere dei cosiddetti scafisti, come quella dei detenuti stranieri in generale, è più afflittiva rispetto a quella degli altri detenuti;
- gli effetti della criminalizzazione proseguono anche dopo la conclusione della vicenda penale dal momento che la condanna impedisce di vedersi riconosciuta la protezione internazionale.
Avv. Arturo Raffaele Covella