La dignità di accogliere e di essere accolti

Palermo è stata definita capitale italiana dell’accoglienza. Un riconoscimento che le viene attribuito grazie alla sua fama di città melting pot e grazie al sindaco Orlando, che più volte ha risposto con forza alle politiche di estrema destra del governo Salvini.

La nave Vos Thalassa arriva al porto di Palermo (immagine di repertorio)

Ma cosa significa accoglienza? Accoglienza per chi? Accoglienza dove? Il porto di Palermo è stato dichiarato porto aperto: chi arriva dal mare sarà accolto, sarà fatto sbarcare. Ma cosa succede dopo lo sbarco? Succede che i migranti, nuovi arrivati, entreranno nel burocratico sistema di accoglienza locale e dovranno fare i conti con quella che realmente è questa realtà palermitana.

Da operatrice sociale sono convinta che vivere a Palermo, per i migranti, sia per certi versi meno doloroso, soprattutto a livello culturale. Siamo un popolo accogliente, la nostra città è facilmente percorribile, i prezzi sono ancora modici e ci sono i mercati all’aperto, in cui i migranti di tutte le origini si riconoscono.

Ma l’accoglienza non è andare in giro per i mercati e passeggiare per il centro storico. L’accoglienza è fatta di persone vulnerabili, di problematiche sociali, politiche, economiche e di salute. Inoltre, l’accoglienza è fatta anche da chi accoglie nei centri destinati ad ospitare i migranti in attesa di richiesta di protezione internazionale o già detentori di un permesso di soggiorno. Educatori, mediatori culturali, psicologi, insegnanti di italiano L2. Sono queste le figure professionali che fanno parte del gruppo operatori sociali dell’accoglienza. Dunque, ci sono le persone che vengono accolte e quelle che accolgono, due gruppi sociali che vivono una realtà che è tutto meno che rosea.

Negli ultimi anni, a Palermo e provincia, i grandi protagonisti della débâcle del lavoro sociale sono stati gli operatori dell’accoglienza dei migranti e gli utenti degli stessi centri. Il problema principale, che attanaglia da tempo gestori, responsabili, operatori sociali e utenti, sono i fondi destinati a finanziare i centri per l’offerta dei servizi ai migranti ospiti e per gli operatori sociali che lavorano negli stessi. Soldi che provengono dalle casse del Comune e della Prefettura, gli enti pubblici che fanno da ponte tra gli enti privati gestori delle comunità e i fondi del Ministero. La problematica sui pagamenti agli enti gestori e i ritardi nei pagamenti ai dipendenti ha creato, negli ultimi due anni, un clima di tensione che solo chi vive la quotidianità della precarietà delle vite degli operatori e degli utenti dei centri di accoglienza può comprendere.

E non è di certo a causa del decreto sicurezza che gli utenti dei centri e le figure professionali dell’accoglienza hanno iniziato a vedere un’offerta di servizi scarsa o inesistente e una precarizzazione costante delle loro vite già precarie. Le novità normative hanno però reso legge e istituzionalizzato le patologie del sistema.

I ritardi nei pagamenti che spettano alle comunità di prima e seconda accoglienza, sia di minori stranieri non accompagnati che adulti, sono dovuti, a detta dei gestori delle comunità, alla cattiva gestione dei fondi e dunque dei pagamenti da parte del Comune e della Prefettura.

Abbiamo quindi pensato di interrogare Comune e Prefettura in merito a questi ritardi ed effettivamente la situazione non è rosea, ma comunque non giustifica il taglio delle figure professionali necessarie nelle strutture, come mediatori culturali e psicologi, né tantomeno la mancanza di qualifica di molti operatori sociali, che vengono assunti perché disposti ad accettare le pessime condizioni lavorative e a chiudere un occhio su ciò che si consuma dentro ai centri e che va a discapito degli utenti.

I ritardi nei pagamenti, la mancanza di chiarezza da parte dei gestori dei centri e la collusione delle autorità competenti, coscienti comunque delle problematiche che gli operatori vivono nei loro posti di lavoro,spingono gli operatori e le operatrici a non avere fiducia nel sistema di accoglienza, a vivere situazioni di vulnerabilità continua e a non potere svolgere le loro funzioni in maniera adeguata e serena. Tutto questo determina, inoltre,un conflitto perenne all’interno delle comunità dove operatori e utenti vivono la loro quotidianità.

Questa mancanza di chiarezza da parte delle autorità competenti, mancanza che si manifesta anche nell’assenza di un dialogo con gli operatori sociali, il conflitto con i gestori e lo stress quotidiano dettato dal tipo di lavoro svolto dagli operatori sociali, non fanno che accrescere la loro frustrazione e rabbia, costringendoli a decidere se andare avanti, combattuti spesso tra il timore di perdere tutto il lavoro fatto all’interno delle comunità e la paura di dover affrontare i propri datori di lavoro e metterli alle strette. Perché, seppur la vocazione sia grande, anche gli operatori sociali hanno delle vite private, per cui pagano affitto, comprano beni di prima necessità, hanno famiglia. Sono persone. E con la dignità delle persone non si scherza. Dignità che ritorna con forza ad essere reclamata nella spinosa questione dei servizi offerti agli utenti delle comunità.

Facendo appello alla mancanza di fondi, spesso i gestori decidono di ridurre i costi all’interno delle strutture e precarizzare ancora di più il personale, utilizzando forme contrattuali al limite della legalità, e aderendo così al nuovo modello salviniano che vuole fare dei centri di accoglienza dei dormitori. Senza servizi, con operatori frustrati, poco preparati e scarsamente motivati. Con utenti arrabbiati e poco fiduciosi nel futuro.

È dunque questo il famoso modello di accoglienza della città di Palermo, tanto decantato da Nord a Sud, da Est a Ovest e oltre i confini italiani?

L’accoglienza non può e non deve rimanere una parola. Deve essere una volontà politica che tenga in considerazione la dignità di chi nell’accoglienza ci lavora e di chi viene accolto. Non basta dire che i nostri porti sono aperti. Non basta dire che è colpa di Salvini, perché tutto questo succede già da anni.

Le persone che arrivano nella nostra città hanno delle necessità, prima fra tutta quella di cominciare una vita degna. Inoltre, queste persone vengono accolte in strutture ad hoc, dove persone, professionisti del settore, vorrebbero aver cura di loro e accompagnarle nel loro percorso verso l’autonomia nel miglior modo possibile. Non è forse questo un lavoro a cui è necessario restituita dignità?

 

Giulia Di Carlo

Operatrice sociale