Redattoresociale.it – Il regolamento proposto dall’Italia per le organizzazioni non governative che si occupano di salvataggio in mare è al centro di un acceso dibattito. Ma cosa dice nel dettaglio? E quali sono i punti più controversi? Ecco una sintesi.
Undici regole da rispettare per poter continuare a fare attività di ricerca e salvataggio in mare: dal divieto di entrare in acque libiche all’obbligo di ricevere a bordo la polizia giudiziaria. È il codice di condotta per le ong, che il governo italiano ha elaborato e che oggi sarà discusso in una lunga riunione al Viminale in cui saranno presenti le principali organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo. Se alcune, come il Moas, hanno già detto di voler accettare il regolamento, altre stanno temporeggiando: non aderire vorrebbe dire dover smettere con l’attività di search and rescue, perché verrebbe interdetto alle navi l’approdo nei porti italiani. Di contro, accettare alcune regole potrebbe voler dire violare lo statuto interno di alcune ong. Ma cosa dice nel dettaglio il codice di condotta? E quali sono i punti più controversi?
Il primo punto riguarda il divieto assoluto in entrare in acque libiche: a questo proposito – si legge – le acque territoriali libiche possono essere raggiunte solo se esiste un pericolo evidente per la vita umana in mare. Si impone poi di non spegnere i transponder a bordo (cioè quei sistemi elettronici che servono per l’identificazione della rotta). Inoltre, per evitare contatti con i trafficanti si obbliga le navi a non effettuare comunicazioni telefoniche o inviare segnali luminosi che potrebbero facilitare la partenza di imbarcazioni che trasportano migranti. Inoltre si impone l’obbligo di non fare trasbordi tra navi, siano esse italiane o internazionali, se non in casi di emergenza: dopo un salvataggio – dice il codice – le navi delle ong devono completare le operazioni portando le persone in un porto sicuro. C’è poi il divieto di ostacolare le operazioni di ricerca e salvataggio della guardia costiera libica: l’obiettivo è quello di lasciare alle autorità locali il controllo delle proprie acque territoriali. E poi, tra i punti più contestati, c’è l’obbligo di far salire a bordo gli ufficiali di polizia giudiziaria per indagare sul traffico di esseri umani. Inoltre, si chiede di dichiarare, per ragioni di trasparenza, le fonti di finanziamento per le operazioni di salvataggio in mare. C’è poi l’obbligo di segnalare al MRCC (centro di coordinamento marittimo) gli avvistamenti e i successivi interventi in mare; l’obbligo di cooperare con le autorità di pubblica sicurezza dei luoghi di arrivo dei migranti e infine, l’obbligo di trasmettere tutte le informazioni, che possano aiutare nelle finalità investigative, alle autorità di polizia italiana.
Il codice è stato oggetto di diverse critiche da parte delle organizzazioni che si occupano di diritto. Per Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione, il regolamento potrebbe portare a un “pasticcio giuridico internazionale”. Si tratta, infatti, di un “tentativo da parte dell’Italia di regolare la condotta di navi, ivi incluse navi battenti bandiera di uno Stato terzo, oltre i limiti delle acque su cui l’Italia esercita competenze in virtù del diritto internazionale – spiegano in una nota -. Né i trattati internazionali in materia né la prassi internazionale indicano in alcun modo l’esistenza di una competenza normativa dello Stato del porto relativamente alla navigazione di navi che abbiano svolto attività di ricerca e soccorso in alto mare e richiedano l’accesso al porto”. Dunque l’Italia non può imporre a navi di altri Paesi il codice di condotta. Non solo. Nel caso le navi di ong straniere non accettino di sottoscrivere il codice di condotta, l’Italia non potrà con tanta facilità impedire loro di attraccare nei nostri porti. Molto duro anche il commento di Amnesty International secondo cui il codice produrrà nuove morti in mare. “Immoralmente, il codice di condotta proposto per le ong che salvano vite nel Mediterraneo potrebbe mettere in pericolo altre vite – sottolinea Iverna McGowan, direttrice dell’Ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee -. I tentativi di limitare le operazioni di ricerca e salvataggio delle ong rischiano di mettere a repentaglio migliaia di vite umane impedendo alle imbarcazioni di salvataggio di accedere alle acque pericolose vicino alla Libia”. Secondo Amnesty e Human Rights Watch “qualsiasi codice di condotta, se necessario, dovrebbe avere l’obiettivo di rendere le operazioni di salvataggio in mare più efficaci per salvare vite umane” e “dovrebbe essere concordato previa consultazione con i gruppi coinvolti nella ricerca e nel salvataggio, dovrebbe essere applicato a tutte le imbarcazioni che effettuano salvataggi nel Mediterraneo e non dovrebbe essere legato allo sbarco”.