Borderline Sicilia visita il CARA di Mineo
Venerdì 12 luglio 2013 il parlamentare del gruppo SEL,
Erasmo Palazzotto, si è recato presso il CARA di Mineo in delegazione con
rappresentanti delle realtà locali che si occupano di immigrazione, per
constatare le condizioni degli ospiti della struttura più grande d’Europa. La
visita ha richiesto quasi 4 ore e mezzo.
Lungo la statale Catania-Gela il sole è fortissimo, le
temperature molto alte. Quando arriviamo, una navetta popolata trasporta alcuni
ospiti dal centro alla cittadina di Mineo. Molti altri ospiti si allontano a
piedi per la stessa strada che conduce in paese: dovranno percorrere ben 11 km. Veniamo accolti dal
direttore del centro Sebastiano Maccarrone che ci fa da cicerone all’interno
del Villaggio della Solidarietà accompagnato da alcuni operatori e mediatori
del centro.
Appena percorso il vialone di ingresso, ci troviamo di
fronte al viale principale nel quale si trovano concentrati gli uffici
amministrativi e di servizio: l’ufficio legale, il bazar, il punto “mamma”, l’edificio
per la distribuzione dei pocket money, la mensa, il centro sanitario della
Croce Rossa. In alcune zone del centro sono ancora ben visibili i danni
conseguiti alle proteste inscenate dagli ospiti nel corso degli anni. Sei
camionette della Polizia vi stazionano a garanzia dell’ordine pubblico.
Il nostro primo incontro avviene con i rappresentanti delle
diverse comunità eletti da poco all’interno del CARA. Molti di loro sono un po’
spaesati, probabilmente non sanno neanche cosa siamo venuti a fare. Ci
sorprende trovarceli tutti di fronte, pronti all’incontro. Rimandiamo di qualche ora la consulta,
consapevoli del fatto che saranno molti i temi dei quali discutere e le
richieste dei migranti.
Su nostra richiesta, dunque, iniziamo con un giro per la
struttura. Il direttore esordisce indicando delle cifre che ci
confondono. Il CARA consta di 404 villette dove risiederebbero massimo 10
persone con 3 servizi igienici per villetta. Alcuni di noi vengono avvicinati
da donne che ci portano dentro la loro abitazione e ci mostrano una stanza
spoglia con materassi per terra sui quali dormono insieme ai loro bimbi. Nel
corso della visita abbiamo modo di vedere altre abitazioni. Le condizioni
igieniche ci appaiono precarie. Con riferimento ai materassi per terra, il
direttore si premura di informarci che sono abitudini “culturali” dei migranti
quelle di dormire per terra e che nelle abitazioni, per ragioni di privacy, gli
operatori del centro non entrano. Anche la pulizia è demandata agli
ospiti. Alcuni migranti incontrati per i
viali si lamentano invece che non
vengono comprate brandine o altro materiale per questioni economiche e che non
tutte le villette dispongono di 3 servizi.
Il nostro giro prosegue per gli uffici amministrativi.
Veniamo condotti di fronte a una villetta dove sono situati tutti i maggiori
servizi, sotto il nome di Info Point; all’ingresso un cartello con gli orari di
apertura, in totale 5 le ore dedicate quotidianamente al servizio, esclusi i
festivi. Al secondo piano dello stesso edificio veniamo condotti in tre piccole stanzette. Una dedicata
all’Ufficio Legale, mentre le altre due al servizio sociale ed a quello
psicologico. Ancora una volta le cifre che ci vengono fornite non sono chiare:
sul numero degli psicologi, le informazioni raccolte spaziano tra i 2 e i 6
addetti al servizio, mentre gli assistenti sociali sarebbero 5 e i mediatori
una ventina ( di cui appena 10 madrelingua). In totale sarebbero circa 40 gli
operatori generici per oltre 3000 ospiti
con diverse problematiche, alcune veramente gravi.
Sono molti i migranti che, giunti reduci dal loro viaggio in
condizioni psicologiche precarie, dopo mesi e mesi di attesa nel centro senza
risposte né certezze sul proprio futuro cadono in depressione o accusano altre
patologie simili. Molti di questi troverebbero sollievo nell’alcool. Chiediamo
agli operatori del centro se venga effettuato sugli ospiti un follow up dello
stato psicologico, non solo all’ingresso ma anche in uscita. Ci rispondono
genericamente che gli ospiti vengono seguiti sempre, non riuscendo a
comprendere se l’ente gestore sia realmente cosciente degli effetti deleteri
sugli ospiti dell’estenuante attesa e di quale sia il loro stato psicologico a
causa della permanenza prolungata presso il CARA. Insieme all’onorevole
Palazzotto ci informiamo se ci siano stati casi di suicidio o tentato
suicidio, se si siano mai verificati
casi specifici di violenza di genere, di prostituzione e se siano molte le donne sole ospiti presso
il centro. La psicologa che risponde alle nostre domande ci conferma che
qualche caso di tentato suicidio c’è stato, ma non ci vengono forniti ulteriori dettagli.
Continua dicendo che l’ente gestore non ha certezze su fatti di prostituzione
ma che ci siano stati casi di sospetta prostituzione risulta anche a loro, così
come la circostanza che alcune donne che risiedono al CARA sarebbero state
dedite a tale attività, prima di risiedere nella struttura. Tale
preoccupazione viene sollecitata dalla
conoscenza di voci di corridoio secondo le quali presso le strutture
ospedaliere di Caltagirone si registra un numero non indifferente di
interruzioni di gravidanza volontaria alle quali si sarebbero sottoposte alcune
ospiti del centro.
La nostra visita prosegue verso la struttura che ospita il
servizio mensa. Lungo il percorso ci ritroviamo alla nostra sinistra i locali
destinati alla distribuzione dei pocket money. Ma non ci sono file come in
altri tempi, e sembra che la struttura non sia in funzione. Non c’è alcun
avviso esposto e né l’orario di apertura. Le informazioni che riceviamo circa
il pocket money è che è passato dai 3,50 euro a persona dell’Emergenza Nord
Africa ai 2,50 euro di oggi, somma che viene distribuita ogni due giorni sotto
forma di un pacchetto di sigarette o una scheda telefonica da 5 euro.
Arriviamo in mensa. Il 9 luglio è iniziato il Ramadan e sono
pochi gli ospiti presenti al pranzo. Sui tavoli abbiamo modo di osservare le
pietanze che vengono servite. L’odore non è invitante e le espressioni di
alcuni ospiti del centro ci confermano che il pasto non è gradito a molti.
Alcuni di loro si esprimono in commenti non proprio lusinghieri, anche se a
denti stretti. Infatti le lamentele più frequenti dei migranti ospiti presso il
CARA riguardano proprio il servizio mensa. Qualcuno conferma che il cibo non
sempre è di buona qualità, e da parte nostra sappiamo che molti gli ospiti
hanno sofferto in passato di disturbi legati all’alimentazione; ancora qualcuno
fuori dal centro ci dice che nonostante il Ramadan sia iniziato 4 giorni fa, è
difficile conciliare gli orari della giornata di preghiera con gli orari della
mensa. La responsabile del servizio mensa smentisce queste informazioni
chiarendo che sono stati variati gli orari del servizio e che in funzione del
Ramadan la mensa resta aperta fino alle 4 del mattino e che vengono distribuiti
5 pasti al giorno.
Il direttore ci informa che il servizio di catering è
affidato ad un ente esterno e che quotidianamente vengono serviti 5000 pasti;
rimane incomprensibile se questa cifra si riferisca sia il pranzo che alla
cena. Veniamo a sapere che la richiesta di molti migranti di poter cucinare in
proprio utilizzando un barbecue esterno alle abitazioni non può essere
soddisfatta per motivi di sicurezza, ma allo stesso tempo ci viene detto
chiaramente che in molti casi queste pratiche vengono tollerate. Rimane il
dubbio in quali casi si applichi il principio della tolleranza e in quali altri
invece la norma.
Quasi di fronte alla mensa si trova l’ufficio di
orientamento al lavoro. Alle domande su che tipo di servizio venga offerto agli
ospiti e che genere di formazione venga proposta, riceviamo la generica risposta
che sono diversi i corsi di formazione seguiti dai circa 80 ospiti in meno di 3
anni: corsi esterni affidati agli Enti di Formazione Regionale. A tale
opportunità hanno però accesso solo coloro che sono in possesso di un valido
permesso di soggiorno, motivo per cui fra le richieste che riceveremo dai rappresentanti delle
comunità c’è proprio la possibilità di estendere queste attività anche ai
migranti in attesa dei loro documenti. Alla domanda se ci siano dei corsi attivi
al momento, segue un po’ di imbarazzo, perché a quanto pare il centro sarebbe
in attesa di una “stabilizzazione”: infatti, dal 1° gennaio al 30 giugno 2013, a conclusione dell’Emergenza
Nord Africa, la gestione è stata affidata, con un contratto temporaneo, ad
un’ATI, un’Associazione Temporanea di Imprese alla quale aderiscono la Sisifo,
il Sol Calatino, la Casa della solidarietà, Senis Hospes e la Cascina Global
Service. Tra queste compaiono le stesse imprese che gestivano in precedenza il
centro. Il contratto di gestione temporanea è scaduto alla fine di giugno 2013
e dunque al momento il CARA è gestito solo di fatto, in attesa di ulteriori
sviluppi che potrebbero palesarsi – a detta del direttore Maccarrone – in una
proroga dei termini!
A partire dall’aprile di quest’anno il numero degli ospiti
ha superato le 3500 unità e non è mai rientrato al di sotto dei 2000 posti
massimi previsti per l’accoglienza. Pertanto, i servizi offerti e destinati ad un numero massimo di 1800
persone vengono in realtà redistribuiti su oltre 3500 presenze. Ci
incuriosiscono inoltre i numeri relativi al pagamento delle spettanze
corrisposti dall’ATI per l’affitto del “Villaggio della solidarietà” ad un
privato, che a detta dal direttore del CARA equivarrebbe a circa 6 milioni di
euro annui, mentre i costi delle utenze si aggirerebbero annualmente tra i 3 e
i 4 milioni di euro, anche se possono lievitare fino ai 6 milioni. Il balletto
delle cifre si fa ancora più confuso quando si arriva alla definizione della
somma che l’ente gestore percepisce per ciascun ospite. Ci viene detto che, a
fronte dei 40 euro percepiti durante l’Emergenza Nord Africa, oggi l’ente ne
riceve solamente 34 che servono a coprire tutte le relative spese di gestione ,
l’equivalente di meno di 2 milioni di euro all’anno!
Proseguiamo verso il container nel quale si svolgerà
l’incontro con i rappresentanti delle comunità. Strada facendo notiamo ancora
diverse abitazioni, almeno 5, che espongono un cartello relativo alla
disponibilità di un servizio Internet, e più in là notiamo un’altra casetta dalla
quale vengono esposti pacchetti di sigarette, come se fossero in vendita.
Chiediamo allora se gli ospiti all’interno del centro gestiscono attività
commerciali. Se da una parte ci viene risposto di sì, che permettere loro di allestire
un bazar risponde all’intenzione di non far perdere a molti ospiti la loro
identità di commercianti, al tempo stesso veniamo informati che gli operatori
del centro non sono a conoscenza di attività di vendita vera e propria.
Quasi giunti al termine del nostro tour, nell’attraversare
l’ultimo viale di villette, notiamo la presenza degli uffici di FRONTEX dei
quali nessuno di noi era a conoscenza. Di fronte insistono 3 container a quanto sembra
in uso come struttura di supporto temporaneo alle procedure di ammissione
e collocamento dei nuovi ospiti che si
attendono numerosissimi in arrivo quest’estate.
All’interno di uno di questi tre container ci attendono i
rappresentati delle comunità. Il clima inizialmente sembra festoso, ma basta
poco per rendersi conto che tra gli ospiti, gli operatori e i responsabili del
centro in realtà si cela una tensione non indifferente.
Sono diverse le problematiche che i rappresentanti della
comunità vogliono portare all’ascolto del parlamentare. Al primo posto si pone
l’insopportabile attesa del rilascio dei documenti e le lungaggini dell’ unica
Commissione che gestisce le pratiche dei richiedenti asilo ospiti nel CARA.
Lamentano una media di 11-12 mesi per ottenere il riconoscimento della
protezione umanitaria riservata a coloro che sono transitati dalla Libia
durante l’Emergenza Nord Africa: in media 7 mesi per la prima audizione in
Commissione, 1 mese per ricevere la decisione della Commissione, 2 mesi per la
notifica da parte della Questura e un paio di giorni per il mandato della banca
al ritiro del bonus. Ma non sempre questi
tempi vengono rispettati. Il numero delle audizioni rispetto ai tempi
dell’Emergenza Nord Africa – quando era attiva anche una sotto commissione – è
diminuito, con una media di 30 casi esaminati a settimana. Ci viene inoltre riferito
di ospiti presenti nel CARA da lunghissimo tempo, i cd. “casi Dublino”, per i
quali le procedure di riconoscimento della protezione non è neanche iniziata
dopo 10-12 mesi.
Un ospite del centro lamenta che siano solo 2 gli operatori
in servizio presso lo Sportello Immigrazione presente all’interno della
struttura d’accoglienza. Segue un botta e risposta immediato – e ai nostri
occhi alquanto irruento – tra questo migrante e un responsabile del centro, il
quale si premura a smentire l’informazione, affermando che gli operatori di
sportello sarebbero 7. Emerge per l’ennesima volta una gran confusione di
cifre.
Sul piano sanitario, i rappresentanti degli ospiti lamentano
ritardi negli interventi da parte della Croce Rossa a causa dell’insufficiente
organico, nonché l’assenza di un
servizio di mediazione interculturale presso le strutture ospedaliere del
calatino.
A questo punto gli animi si scaldano, tutti vogliono parlare
ma il tempo è limitato; sono molteplici le criticità messe in luce dalle rappresentanti
dei migranti, e la tensione ai nostri occhi appare evidente, così come si
palesa la circostanza che all’interno di una struttura come questa non possa
mai respirarsi un clima sereno. L’ultimo a prendere la parola è un ragazzo , ai
nostri occhi molto coraggioso, che denuncia l’arresto di un connazionale
avvenuto la sera prima. Nella confusione e nell’accavallarsi di voci, riusciamo
a captare solo alcuni elementi. Sembrerebbe che durante un litigio acceso tra
il giovane, appena ventenne, e la moglie, sarebbero intervenute le Forze
dell’Ordine che avrebbero in seguito tradotto il giovane presso la casa circondariale
di Caltagirone. Così come ai tempi dell’ultima rivolta, avvenuta presso il CARA
circa un mese fa, a seguito dell’arresto
di un cittadino del Mali, sarebbe alta la tensione dei migranti che chiedono la
scarcerazione del giovane fermato la notte prima, in quanto non sarebbe stato autore
di alcun reato. Tra questi ci sarebbe la moglie, incinta, del giovane arrestato
il giorno prima. Dalla seppur animata discussione è emersa l’idea che alcuni
migranti avrebbero delle Forze dell’ordine di stanza al CARA, certi che questi
avvenimenti non siano altro che il frutto di atteggiamenti razzisti delle forze
di sicurezza nei confronti degli ospiti centro africani.
I migranti presenti all’incontro pretendono risposte certe sulla
possibilità di uscire dal CARA per essere inseriti in strutture SPRAR sul
territorio nazionale. C’é tanta confusione e disinformazione. Molti non comprendono
perché ad alcuni sarebbe destinato un bonus di buonuscita di soli 500 euro quando,
ci raccontano, girano voci che al centro alcuni ospiti avrebbero percepito fino
a 2000 euro per la stessa ragione. Noi, in visita ispettiva, ci ritroviamo a
dover fornire informazioni e spiegare loro il funzionamento del sistema SPRAR,
nonché a fugare i dubbi sull’esistenza di trattamenti diversi riservati ad
alcuni ospiti da parte delle istituzioni.
A conclusione dell’incontro e dell’intera visita presso il
CARA, un dato certo è che non esiste un valido servizio informativo per gli
ospiti. Un servizio che, oltre che doveroso, sarebbe anche utile a
mantenere un clima più disteso in un centro così grande, ed a evitare le continue
proteste generate dell’esasperazione data dalla mancanza di certezze.
La nostra visita termina alle 15 del pomeriggio, sotto il
sole cocente della piana di Catania.
L’impressione che ci accompagna è ancora
una volta legata all’immagine di una struttura inadatta per dimensione e tipologia di intervento, legato ad una
visione del fenomeno migratorio che privilegia l’aspetto economico a scapito della
vita e dei diritti degli ospiti. Ce ne andiamo con gli stessi interrogativi di
sempre: aldilà di chi sia preposto alla gestione, davvero una struttura così
grande, un Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di queste dimensioni, può mai costituire la
risposta più adeguata alle esigenze dei migranti che arrivano in Italia? Tutto questo a conferma di quanto emerge sul
sistema italiano dal Report annuale EASO (pubblicato il 12 luglio su http://easo.europa.eu/wp-content/uploads/EASO-Annual-Report-Final.pdf)
concernente i dati del sistema di protezione richiedenti asilo nei territori dell’Unione europea.
La redazione di Borderline Sicilia Onlus