Bambini migranti? Trattati come pacchi postali

Da L’Espresso


Foto di Marta Bellingreri

Solo negli ultimi mesi sono giunti in Italia 12mila minori non accompagnati. Dovrebbero essere tutelati, ma sono prigionieri della burocrazia. Quattro maliani sono stati reinviati in Sicilia da un sindaco lombardo secondo il quale “mica devo stare davanti alla televisione a cuccarsi i soldi”. E nell’isola le situazioni difficili sono molte
DI MARTA BELLINGRERI E ANTONELLO MANGANO

Come pacchi postali dalla Sicilia al Nord. È il destino di un gruppo di minori africani. Da settembre a oggi hanno viaggiato da Catania a Varese e ritorno. E ogni volta si azzerava il percorso di integrazione.
Il sindaco della località lombarda li ha rimandati nel profondo Sud. «Attraverso la questura di Catania e i servizi sociali sono giunti qui quattro maliani, a loro dire minorenni», racconta a l’Espresso Graziano Maffioli, primo cittadino di Casale Litta. «Sono stato nominato loro tutore dal Tribunale. Ma non ero in grado di controllarli».
Hanno attraversato il mare sognando un futuro migliore. E nel 2014 l’Italia ha già accolto 24 mila minori. La metà non ha genitori. Assisterli è la sfida più difficile. Che rischia di mandare in tilt i Comuni
Adesso sono ospitati presso il Centro Astalli della città siciliana. Si annullano documenti e relazioni a quattro mesi dal loro arrivo. L’associazione Borderline Sicilia riporta le parole di Arturo Zitani, responsabile educativo, secondo cui il sindaco di Casale Litta avrebbe «dimostrato ripetutamente un atteggiamento discriminatorio». Il sindaco smentisce le accuse di razzismo e parla di irregolarità: «Ho solo fatto rispettare la legge. I lavori richiesti per la sede operativa non erano stati completati, mancava anche l’ascensore. Mica devono stare davanti alla televisione e cuccarsi i soldi».
Attendiamo


Foto di Marta Bellingreri

I quattro ragazzi del Mali non solo soli. «We wait, we wait, we wait». E’ il ritornello dei centoquindici minori che aspettano di conoscere il loro destino nella ex Scuola Verde di Augusta, provincia di Siracusa. «Aspettiamo». Lo ripetono agli operatori, ai passanti, così come ai giornalisti di New York Times e The Wall Street Journal . Tra i pochi ad essersi occupati della vicenda. La situazione dei minori migranti in Italia è un tema internazionale.
La scuola è inagibile da quattro anni. Il Comune l’ha usata per rispondere al numero continuo di arrivi nei vicini porti di Augusta e Catania. Anche lì dovrebbero avviarsi i lavori di ristrutturazione. Intanto è un edificio dove non si insegna, si dorme soltanto. «I minori sono fermi in alcuni casi da tre o quattro mesi, abbandonati a se stessi durante le ore notturne», denuncia Save the Children.
Per Mohammed e Ahmed il posto letto rimane sempre quello: decine di lettini nelle aule e nei corridoi, a piano terra e al primo piano. «Ho studiato in Costa d’Avorio e un giorno vorrei fare l’università. Chi ci aiuta a uscire?». Nella scuola ci sono le stesse brande di stoffa blu che si trovano al porto, dentro le tende della prima identificazione.
In questo caos c’è di tutto. Operatori pieni di buona volontà che creano rapporti eccezionali con i ragazzi. Legami recisi dalla burocrazia. Fughe improvvise per prendere in mano la propria vita. Scappa un minore su tre. Ci sono persino rapimenti. Ad aprile, alcuni ragazzi sono stati portati a Latina da trafficanti che hanno chiesto il riscatto a parenti in Italia.
Poi ci sono situazioni al limite. Li hanno chiamati “baby scafisti”. Sono minori egiziani arrivati a Catania. Hanno tra 14 e 17 anni, alle spalle famiglie di pescatori poverissimi. Li ingaggiano per far guidare i gommoni, perché spesso gli altri migranti non hanno mai visto il mare.
Succede di tutto. In una struttura della vicina Floridia, lo scorso aprile, «convivevano 35 minori e anziani con disagio mentale». La denuncia è del responsabile di “Save the children” del progetto Presidium. Il centro divenne famoso, nello stesso periodo, per la fuga in pigiama di venti ragazzine eritree dai 12 ai 16 anni.
Centri sospesi
«Yes! Community!». Un coro si leva forte alla parola “comunità d’accoglienza”. Ma è un’illusione. I ragazzi gambiani e senegalesi sono di fronte la chiesa della Canonica, nel centro storico di Pozzallo. «Siamo arrivati in estate», racconta Ibrahim. «Ci avevano detto che il 17 settembre era il giorno di apertura delle scuole in Sicilia. Invece ci spostavano sempre» da un centro emergenziale all’altro. Ma mai all’agognata comunità di accoglienza, dove iniziare una vita stabile in Italia.
Ecco il terzo trasferimento: di nuovo al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza (Cpsa) di Pozzallo. Che però, ufficialmente, in quella settimana, era chiuso e vuoto. «Sospeso in attesa di nuova convenzione» tra Prefettura di Ragusa e Comune. Invece ci sono 35 minori egiziani. Il Comune non può negare la loro presenza: «I minori sono qui fino a quando non si trovano i posti in comunità». I giorni passano tutti uguali, non resta che «farsi un giro al supermercato, comprare le sigarette e una partita a calcio con sottofondo di musica egiziana».
A Lampedusa è accaduto qualcosa di simile. Centro chiuso e minori dentro. Contrada Imbriacola ha riaperto solo dal primo ottobre dopo una lunga ristrutturazione. «C’erano moltissimi bambini, persino neonati», denunciava l’ong Terre des Hommes in estate. Anche lì, nonostante i lavori di ristrutturazione, i minori non accompagnati sostavano per giorni in una struttura fantasma. Insieme ad altre 300 persone soccorse a sud dell’isola.
Da un punto all’altro della Sicilia, la comunità è un miraggio. I ragazzi aspettano un banco di scuola. Troppo spesso devono accontentarsi di una branda.