Ad Augusta ci sarà mai un’accoglienza degna per i/le migranti?
Decine di migranti, per lo più minori non accompagnati, stipati per settimane nella tendopoli allestita in un porto blindato e militarizzato, in condizioni igienico-sanitarie indegne. Senza prospettive reali di accoglienza e senza le più elementari tutele giuridiche a salvaguardia dei loro diritti umani.
Succede ad Augusta, in provincia di Siracusa, dove da mesi gli sbarchi e le attività di identificazione-deportazione-espulsione del sistema Frontex proseguono al riparo dagli occhi indiscreti dei giornalisti “non-accreditati” e delle realtà antirazziste e solidali, a cui viene negato l’accesso e la possibilità di monitorare la situazione in cui versano i migranti nell’area di sbarco. Così, quanto accade ad Augusta lo si apprende soltanto dalle testimonianze dirette dei migranti che da quel limbo sono transitati e che la sera si incontrano alla stazione di Catania. Alcuni adolescenti raccontano di essere riusciti a scappare dopo diversi giorni passati da detenuti nella tendopoli, soffrendo il caldo torrido e presidiati dagli agenti di polizia, senza mediazione culturale e senza ricevere alcuna informazione sull’accesso al diritto d’asilo e alla protezione umanitaria. Altri, invece, dicono di essere stati forzati al rilascio delle impronte digitali a colpi di manganello elettrificato; altri ancora, dopo l’identificazione, di essere stati semplicemente abbandonati sulla strada, e di averla percorsa a piedi – quaranta chilometri di asfalto – per raggiungere la città etnea.
La realtà di Augusta rappresenta solo un tassello del complesso sistema istituzionale della pessima accoglienza e dell’inferno di abusi, violenze, diritti negati e sfruttamento che colpisce le vite di migliaia di uomini, donne e bambini migranti. Tuttavia, si tratta di un tassello piuttosto peculiare, se si considera l’importanza di quel territorio sotto il profilo degli interessi economico-industriali e militari che lo attraversano. In proposito, il recente scandalo d’inchiesta Petrolio ha offerto solo uno spaccato, certamente non esaustivo, dei perversi intrecci affaristici esistenti tra lobby industriali, autorità portuale e vertici della marina militare italiana. Ed è in questo contesto, d’altro canto, che si era consumata la compatta levata di scudi – dai 5 stelle ai fratelli d’Italia, dall’amministrazione comunale pentastellata all’ex commissario straordinario portuale Alberto Cozzo, attualmente inquisito dai magistrati lucani – contro la nascita di un hotspot al porto commerciale megarese.
Nello specifico, l’opposizione dell’amministrazione comunale di Augusta all’hotspot – così come il No degli altri soggetti politici e istituzionali – non ha preso di mira ciò che di nefasto questo approccio securitario rappresenta per i migranti, quanto piuttosto la destinazione tout court di una parte del porto commerciale come area di sbarco. Nessuna parola, infatti, si è mai spesa per denunciare la violazione dei diritti umani e l’illegalità, sotto il profilo del diritto interno ed europeo, del sistema hotspot, considerate per esso l’assenza di cornice giuridica e l’assoluta discrezionalità sulle procedure d’identificazione affidate interamente alla polizia. Nessuna parola nemmeno sugli abusi e sulle pratiche violente – documentate, ad esempio, nel recente rapporto di Oxfam Hotspot, il diritto negato e dai numerosi report di Borderline Sicilia – a cui vengono sottoposti i migranti all’interno dei porti d’arrivo, tra i quali proprio quello di Augusta.
L’utilizzo del porto per accogliere i migranti “svilisce le ambizioni economiche” «non solo della città ma dell’intera regione», secondo la sindaca di Augusta Cettina Di Pietro, che da più di un anno continua a lanciare appelli al governo – compreso, da ultimo, l’annuncio di uno sciopero della fame – affinché Augusta non resti «il porto degli immigrati» – la citazione è testuale – per «non mortificare i piani di sviluppo» dello scalo commerciale. Ed è sempre la sindaca, come nella peggiore propaganda leghista, ad agitare lo spauracchio del “pericolo per la sicurezza dei cittadini”, sostenendo l’equazione tra fenomeno migratorio e rischio di attentati terroristici. Un’equazione banale e frutto di una palese disinformazione, ma pericolosa per il messaggio di xefonobia che finisce per trasferire sull’opinione pubblica. Se poi a questo si aggiunge il populismo dei “45 euro a minore migrante e nessuno per i figli degli italiani” – fatto proprio dalla stessa sindaca in occasione di un confronto tv su La7 – ecco che il discorso precipita sensibilmente e diviene alimento per i peggiori umori reazionari e razzisti.
Eppure, al cospetto dell’inferno della malaccoglienza istituzionale dall’alto, comuni come quello di Augusta potrebbero fare tanto imboccando la strada della solidarietà, e disobbedendo alle politiche liberticide messe in campo dai governi centrali. Il terreno fertile non manca di certo: la cittadinanza megarese, con l’esperienza dei bambini delle scuole verdi, due anni fa ha già dato prova di grandi slanci di umanità e accoglienza; in quell’occasione, tanti furono i minori presi in affido dalle famiglie, mentre le associazioni, le parrocchie e moltissimi volontari si attivavano con iniziative di solidarietà. Quell’esperienza, qualche mese più tardi, purtroppo venne troncata insieme ai legami umani che aveva visto nascere, con la deportazione dei minori al centro di Città Giardino del Buzzi di mafia capitale.
Oggi, si tratterebbe di riprendere il filo di quei legami tranciati, tornando a coinvolgere la comunità di Augusta rispetto a un fenomeno che la riguarda direttamente, nonostante da questo continui ad essere tenuta scientemente lontana. Un punto, in questa direzione, dev’essere però chiaro: l’accoglienza e la solidarietà non sono un “problema” da gestire, né tanto meno un business da appaltare, ma una risorsa umana e culturale nonché una pratica sociale che ogni comunità lungimirante dovrebbe ricercare e promuovere attivamente. Esempi virtuosi come quello di Riace e del sindaco Mimmo Lucano, sono lì a mostrare un orizzonte possibile: un paesino di appena 1.800 anime capace di accogliere nel suo tessuto sociale, culturale ed economico fino a 550 cittadini immigrati, facendo della solidarietà un’occasione storica di rinascita comunitaria.
Sarebbe bene, pertanto, che la sindaca di Augusta approfondisca seriamente la tematica e ribalti la sua posizione in merito, abbandonando gli argomenti populistici e scegliendo di stare realmente dalla parte dei migranti e dei loro diritti; anche a proposito del progetto di un Cara a Melilli, che sarebbe l’ennesimo lager etnico in Sicilia, per la cui apertura la stessa Di Pietro si dice favorevole e pare stia spingendo.
E infine, sul porto: nessun “piano di sviluppo commerciale” – ammesso che lo “sviluppo” sia ancora il paradigma da seguire – può essere anteposto agli interessi delle persone, alle loro vite e ai loro destini. Altrimenti è meglio abbandonare quei piani: sarebbero tossici per la comunità e buoni solo ad arricchire lobby, mafie e speculatori. Nient’altro che lo stesso tragico copione recitato per il petrolchimico siracusano da sessant’anni a questa parte.