Protesta al Cara di Salinagrande: “Dateci i documenti o fateci tornare in Libia”

“Qu’ Allah bènisse la Libye”. Il loro è un grido di speranza. Speranza di un futuro migliore, finalmente liberi, in un paese libero e democratico. Richard e Mbalo sono solo alcune delle voci e dei volti della protesta, scoppiata questa mattina di fronte ai cancelli del Centro di accoglienza per rifugiati politici di Salinagrande, piccola frazione alle porte di Trapani, a cui hanno preso parte una trentina di migranti. “Non siamo clandestini. Siamo rifugiati. Persone che fuggono dalla guerra – urla Mbalo Bakari – nel 2005, sono stato costretto a lasciare il mio paese, la Guinea Bissau, perché ero perseguitato. Mi sono rifugiato in Libia, dove ho vissuto fino a qualche mese fa”. Al centro della protesta, i dinieghi ricevuti da parte della commissione territoriale, chiamata ad esaminare tutte le richieste di asilo politico. Su 260 domande, ad oggi, quelle respinte sono 50. Le restanti, sono ancora al vaglio della commissione. “In altri paesi europei – incalza Mbaro – il permesso di soggiorno viene rilasciato subito. Qui in Italia invece, riceviamo solo pareri negativi”. Sono arrabbiati ed amareggiati gli ospiti del centro, che si sono visti negare il permesso di soggiorno. Tutti provenienti da paesi diversi: Ghana, Burkina Faso, Nigeria, Tunisia, Costa D’avorio. Nazionalità diverse, ma con storie molto simili alle spalle. Molti di loro infatti, hanno lasciato i loro Paesi d’origine, alla ricerca di lavoro in Libia, ma sono stati costretti a fuggire anche dal Paese dove pensavano di aver trovato fortuna dopo lo scoppio dei disordini contro il leader Gheddafi. Oggi, dopo il diniego da parte della commissione, rischiano di essere rimpatriati nei loro paesi d’origine dove sostengono di “non essere al sicuro”. “Noi stavamo bene in Libia – rileva Richard – avevamo un lavoro e una casa. Poi siete arrivati voi a bombardarci e adesso ci troviamo in questa situazione. Non saremmo mai venuti in Italia se gli europei non avessero portato la guerra nel paese dove abitavamo. Abbiamo bisogno di un documento. Il permesso di un anno non serve a nulla, perché non ci permette di circolare liberamente nei paesi dell’Unione Europea. Chiediamo soltanto di poterci costruire una nuova vita”. Per questi ragazzi, l’unica possibilità rimane il ricorso attraverso gli avvocati. “La storia che ho raccontato di fronte alla commissione è sempre la stessa – sottolinea Richard – non cambia dall’oggi al domani. Non capisco perché se i membri della commissione ascoltando la mia storia, hanno respinto la mia richiesta, un giudice dovrebbe invece accettarla. Le persone chiamate a decidere sul mio futuro, non sanno niente del mio Paese, non ci sono mai state. Dico soltanto che se non vogliono darmi i documenti, che mi permettano almeno di tornare in Libia”. Le tensioni non si fermano e gli ospiti di Salinagrande, hanno annunciato nuove proteste se nessuno “ascolterà la loro voce”.
Pamela Giacomarro