Le difficoltà dell’accoglienza nel trapanese
In questo ultimo periodo ci sono arrivate molte richieste di aiuto da parte di persone ospiti in vari centri della Sicilia, ma nell’ultimo mese le richieste si sono concentrate in particolare nell’area del trapanese. Pensiamo che questo dato sia dovuto a più fattori: innanzitutto quello di un nuovo bando andato a regime con soggetti che si sono affacciati da poco nel panorama del business dell’accoglienza e cooperative che hanno tentato di allargare il proprio raggio d’azione gestendo più strutture contemporaneamente (CAS, ma anche centri per minori o Sprar).
In questo momento nel trapanese c’è una presenza massiccia di persone che arriva da tutta Italia per la raccolta delle olive e non solo, creando competizione con chi si trova da tempo sul territorio. Come abbiamo sottolineato più volte in passato, le istituzioni non hanno fatto niente per tutelare i lavoratori, ma hanno messo in atto soluzioni per favorire la repressione degli invisibili e agevolare i proprietari terrieri.
Oppressione e sfruttamento, che si vanno a sommare all’incuria di molti centri di accoglienza che non sono pensati come centri di possibili intrecci con il territorio ma soltanto come contenitori dove “depositare” per tanto tempo le persone che arrivano dal mare con un pesante fardello sulle spalle, lontano da occhi indiscreti.
La maggior parte dei CAS aperti (non solo a Trapani e provincia) sono nascosti, lontani dai centri abitati, rispecchiando una scelta politica chiara ed evidente: non vedere i neri in giro permette di autorizzare l’apertura dei centri, mantenere il business su un livello adeguato e non creare problemi con il territorio.
La prefettura di Trapani in questo ha delle colpe dirette, in quanto è l’organo che deve monitorare il territorio, che decide in ultima istanza se il centro è idoneo oppure no. Come il caso del CAS Essarasya – San Miceli, che abbiamo avuto l’opportunità di visitare circa un mese fa: struttura molto bella per essere usata come agriturismo o resort, ma non idonea ad essere un CAS, visto che si trova molto lontano dal centro di Mazara del Vallo, dietro una centrale elettrica, e collegata da una “trazzera” non illuminata e quindi pericolosa per chi volesse prendere una bici o fare la strada a piedi. L’ente gestore ha aperto le porte e ha dialogato con noi con grande disponibilità, nonostante le criticità che abbiamo riportato siano state tante, supportate dalle foto che nei giorni precedenti i ragazzi ci hanno fatto pervenire. Lamentele che non sono causate tutte e solo da uno stallo istituzionale, ma anche da una mancata attenzione da parte di chi gestisce il centro.
La cooperativa, che fa parte del consorzio Umana Solidarietà (in forte espansione anche nel palermitano) gestisce anche un altro CAS a Marsala che in passato, dopo un’ispezione della prefettura, ha dovuto fare un’opera di riqualificazione nella struttura per poter continuare ad operare. Ribadiamo che la struttura è stata ristrutturata da poco tempo visto che l’apertura del CAS San Miceli risale al 20 maggio 2017, con una convenzione per 50 posti che scade il prossimo mese di novembre. Un mese fa durante la nostra visita erano presenti 44 richiedenti asilo provenienti soprattutto dall’Africa dell’ovest e dal Bangladesh.
Le lamentele ci sono arrivate tempo addietro insieme a una foto in cui le persone presenti hanno scritto su un cartellone le problematiche vissute all’interno del centro, e che abbiamo cercato di verificare insieme all’ente gestore il quale ha confermato l’esistenza di qualche problema di comunicazione con i ragazzi.
Questi ultimi hanno manifestato il loro dissenso per un cibo scadente, monotono: “Mangiamo le stesse cose a pranzo e le stesse cose a cena da quando siamo qui, e qualche volta abbiamo buttato tutto perché puzza; abbiamo problemi di digestione e poi stiamo dimagrendo”, e a supporto di questa tesi, M. ci ha fatto vedere le foto prima dell’arrivo al CAS. Abbiamo suggerito una riunione per avviare un confronto tra i ragazzi e l’ente gestore, ma ad oggi ancora non è stato fatto.
Altra problematica, che conferma la difficoltà logistica, è l’attività di alfabetizzazione che all’interno del centro è assente da luglio, perché la cooperativa non riesce a trovare una soluzione dopo che si è dimessa l’operatrice che portava avanti l’unica attività prevista dentro il CAS. Ad oggi i ragazzi presenti non vanno a scuola perché nonostante l’iscrizione fatta al CPIA (in queste settimane), ancora le lezioni non sono cominciate e le lamentele sono quotidiane.
Altro aspetto critico riguarda i tempi per i documenti: soltanto sei all’epoca della nostra visita avevano compilato il C3, mentre gli altri si stanno recando in questura in gruppi da sei.
Altro problema segnalatoci riguarda il mancato funzionamento dei condizionatori che, per il caldo insopportabile, ha costretto le persone a dormire fuori nell’atrio del centro, con conseguenti punture di zanzare e di insetti per l’intera estate. L’ente gestore ha confermato la versione dei ragazzi sostenendo che i condizionatori non hanno mai funzionato per via di lavori sulla rete elettrica che sono terminati soltanto da poco.
Altre problematiche sono dovute alla mancanza di acqua che si verifica in alcuni giorni; l’area è fornita da un’autobotte per riempire i recipienti del CAS. A volte manca l’acqua calda. Visto che c’è un impianto di pannelli solari e nelle giornate piovose o non soleggiate (per fortuna poche in questi mesi), l’ente gestore deve provvedere con bombole a gas.
Infine molti dei richiedenti asilo dicono di non sentirsi tutelati dal punto di vista sanitario perché le medicine non sono sufficienti e sempre a disposizione. Abbiamo riportato questa lamentela all’ente gestore che ha sottolineato che i ragazzi sono tutelati e sempre assistiti dal punto di vista sanitario con un medico presente in struttura settimanalmente e un infermiere che ha una scorta di medicinali al centro.
Dopo un mese dalla nostra visita, la situazione non è cambiata, anche se gli operatori presenti cercano di mettere delle toppe. Gli ospiti aspettano ancora i vestiti autunnali, visto che hanno ancora quelli estivi consegnati all’ingresso nel centro. Hanno invece ricevuto le coperte. L’aspetto più critico rimane la comunicazione, perché oltre ad un operatore sempre presente che parla soltanto un po’ di inglese scolastico, non c’è un riferimento concreto. La direzione è poco presente e i mediatori di riferimento che hanno sostenuto i ragazzi oggi non lavorano più nel centro, sostituiti da una nuova mediatrice che non ha, a detta dei ragazzi, la dimestichezza come i predecessori. Insomma manca un punto di riferimento, manca un rapporto di fiducia con l’ente gestore, mancano delle risposte alle domande su quale futuro li aspetta.
Condizioni di limbo che non lasciano le persone serene, e che a volte, insieme alle problematiche strutturali dei CAS, sono causa di proteste e conflitti, e in questo periodo nel trapanese di episodi ne abbiamo raccolti tanti. A cominciare da questa estate, quando, con un’ordinanza di chiusura per inagibilità dei locali firmata dal commissario del comune di Castelvetrano, è stato chiuso il CAS Aerus di Triscina.
Anche a Castellammare del Golfo è stato chiuso l’ex agriturismo Sicilia 1 (tutte strutture su cui noi abbiamo sollevato in passato delle criticità). Invece al CAS Ericevalle ci sono state molte revoche dell’accoglienza: a pagare le difficoltà sono le persone che vanno in escandescenza, sotto la pressione di un futuro che con il passare dei giorni diventa sempre più cupo. Persone che dopo aver visto la morte camminargli accanto, continuano a vivere una situazione di disagio che spesso diventa un fattore scatenante. Purtroppo le vulnerabilità di queste persone non sono per niente monitorate e prese in carico, anche perché il sistema CAS non prevede questo tipo di attenzione.
Ma le proteste non sono solo nei CAS, ma anche negli Sprar, e questo è un segnale che l’intero sistema non funziona. L’ultimo episodio in ordine di tempo è avvenuto nello Sprar di Alcamo gestito dalla cooperativa Badiagrande: un senegalese è stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e tentata estorsione per essere andato in escandescenza per la mancata comprensione rispetto al versamento di 45 euro.
Infine la prefettura ha fatto un’ispezione presso il CAS Sataru in contrada Fraginesi di Castellamare del Golfo – altro posto isolato – riscontrando parecchie infrazioni e lamentele da parte degli ospiti. Alcuni di loro sono stati trasferiti in altre strutture per diminuire la pressione recettiva e per dare l’opportunità all’ente gestore di fare quanto necessario per mettersi in regola: una modalità operativa adottata dalla prefettura che preferisce non chiudere immediatamente la struttura ma dare le indicazioni per poter continuare nell’accoglienza.
Come è ovvio, come al solito, in queste situazioni di difficoltà a pagare le conseguenze sono soprattutto i migranti che subiscono una politica italiana deficitaria e inadeguata in tema di accoglienza.
Alberto Biondo
Borderline Sicilia Onlus