Le difficoltà ad accogliere: Trapani
Tre sbarchi in una settimana sono troppi anche per Trapani, dove non c’è alcuna prospettiva per chi arriva, ma solo muri invalicabili. Più di mille persone in tre sbarchi hanno messo a dura prova il meccanismo di un hotspot che in genere funziona meglio degli altri.
Dal giorno della sua apertura, da Milo sono transitati più di 16 mila persone, il numero di respingimenti è inferiore agli altri hotspot siciliani; ma quando la situazione diventa pesante come nel caso dell’ultimo sbarco, i nodi vengono tutti al pettine, in assenza di una reale programmazione. Nell’hotspot di Trapani si registrano situazioni di promiscuità, casi di respingimento di cittadini marocchini e rimpatri di tunisini ed egiziani. A Milo, come in tutti gli altri hotspot siciliani, si mettono in pratica prassi illegittime, vengono lesi i diritti dei migranti, respingendo anche chi ha gravi problemi di salute.
Lo sbarco del 27 ottobre è stato lungo, anche perché sono state trasferite due salme che nelle operazioni di sbarco sul molo hanno perso sangue e si è dovuto attendere che gli operatori bonificassero la passerella e la zona del molo interessata prima di far proseguire il transito dei sopravvissuti. I loro corpi mostrano segni di efferata violenza, i loro sguardi impauriti o persi nel vuoto trasmettono un’impotenza che si potrebbe riscattare solo con politiche pensate per le persone e non per l’economia. Sono circa 4000 le persone uccise nel Mediterraneo e sono altrettante migliaia quelle che muoiono sui nostri territori.
Gli agenti di Frontex con il solito tram tram mettono sotto pressione i migranti per ricevere informazioni “utili a bloccare i flussi”, loro dicono, cioè per far morire più persone. Il fatto che i morti sono in aumento forse significa che Frontex sta lavorando bene e gli accordi con la Libia e la Turchia stanno dando i frutti sperati. Molte persone sono sbarcate senza vestiti, alcuni indossavano solo slip e canottiera, alcuni erano senza neanche la maglietta indosso, avvolti da una coperta termica intorno al bacino. Visto che la prefettura di Trapani ha deciso che la distribuzione del primo kit (che comprende anche degli abiti) viene fatto all’interno dell’hotspot, i migranti sbarcati, a cui è stato distribuito cibo e ciabatte, sono rimasti sul molo semi nudi per 4 / 5 ore, prima di essere trasferiti a Milo.
Parlando con alcune delle persone appena arrivate, è evidente che la situazione in Libia è sempre peggiore. I racconti sono così crudi che spesso è difficile ascoltarli. “Penso che queste persone arrivano con un carico di dolore che difficilmente noi conosceremo ed è un dolore talmente estraneo, talmente diverso dai nostri, che non lo sappiamo neanche riconoscere, pur avendo grandi responsabilità nella sua determinazione. È come se, pur avendolo sotto gli occhi, pur intuendo che siamo in presenza di persone che hanno attraversato sofferenze profonde, la nostra resta, appunto, solo un’ intuizione, perché cercare di capire meglio (per chi vuole provarci), tentare di comprendere equivale a farsi del male e la società in cui viviamo non ci fornisce strumenti adatti all’elaborazione del dolore, ci consiglia di scansarlo, di direzionare le nostre vite verso ciò che per noi è conveniente, poco importa se in quella convenienza non c’ è posto per gli altri. E poi, sono stanchissima di vedere vittime! È come se ci fosse la tacita accettazione, da parte nostra, che per ogni tentativo di arrivo, di viaggio, di sbarco, ci sia una percentuale umana sacrificabile. Ormai la gente non fa più caso neanche ai numeri, quando noi diciamo che sono persone e non numeri, credo che per alcuni non siano più neanche numeri umani.”
Questo lo sfogo di uno dei tanti volontari presenti al molo. Le difficoltà di fare dell’accoglienza un dovere e non un affare, hanno come conseguenza che le questure siciliane in questa ultima tornata di arrivi abbiano respinto più di 200 persone, per lo più marocchini, egiziani ma anche qualche algerino e un tunisino che non ha trovato posto su uno degli aerei usati per i rimpatri.
Un sistema che ha difficoltà ad accogliere è un sistema che crea invisibili, come quelli che sono attualmente sfruttati a Campobello di Mazara. 1400 persone ammassate in una baraccopoli, impiegate a raccogliere olive per produrre olio per nostro tornaconto. Ed avere a disposizione persone con un respingimento in mano o che hanno un diniego della richiesta di asilo facilita il compito dei proprietari terrieri che impongono modalità schiaviste, la schiavitù del nostro tempo.
L’accoglienza in Italia non funziona perché non c’è la volontà di farla funzionare. Ma la cattiva gestione genera continue proteste da parte degli ospiti. L’ultimo episodio si è registrato in uno dei Cas di Salemi, Villa Mokarta, perché molti dei richiedenti asilo diniegati non hanno ottenuto ragione dalla giustizia italiana e dopo due anni di attesa si ritrovano per strada senza aver intrapreso nel frattempo alcun percorso di inserimento. Anche loro sono gli invisibili di un sistema che non funziona e che mette a dura prova tante persone di buona volontà e desiderose di rifarsi una vita, ma che invece nega anche quel poco che spetterebbe loro di diritto, come per esempio nel Cas “Sataru” di Castellammare del Golfo dove l’ente gestore ha fatto sapere per iscritto ai suoi ospiti che non darà più pocket money e shampoo fino a quando non riceverà i pagamenti dalla prefettura. Come ci confermano tanti migranti insofferenti alle difficoltà dell’accoglienza siciliana, in questo centro non ci sono più neanche la mediazione e l’assistenza psicologica.
Alberto Biondo
Borderline Sicilia Onlus