Il centro di detenzione Vulpitta di Trapani rimane una gabbia disumana

Abbiamo denunciato da anni le gravi carenze sul piano della tutela dei diritti fondamentali nel sistema di trattenimento, espulsione e rimpatrio dei cittadini stranieri in Italia. In occasione del presidio che si è svolto nella mattina del 23 aprile 2012 davanti al centro di identificazione ed espulsione (CIE) Vulpitta di Trapani siamo stati testimoni diretti, per l’ennesima volta, del clima di violenza che regna all’interno di queste strutture e del sequestro dei diritti fondamentali che dovrebbero spettare ad ogni essere umano, anche a coloro che sono senza documenti di soggiorno.In un angolo della gabbia esterna erano ancora evidenti le tracce dell’ultimo fuoco appiccato per protesta dai detenuti, che il ministero dell’interno definisce ancora come “ospiti”, un’immagine sinistra perché ricorda l’immane rogo fatto scoppiare la notte del 28 dicembre 1999, a seguito del quale morirono tre immigrati subito e altri tre in ospedale a Palermo, dopo mesi di atroci sofferenze. Per quel rogo non si è trovato nessun responsabile, ma il Tribunale di Palermo ha condannato lo stato a risarcire alcuni superstiti, riconoscendo responsabilità che sono rimaste senza nome.

Oggi, attraverso le sbarre della gabbia decine di mani e braccia si sono protese verso di noi, chiaramente visibili le ferite e le bendature per gli atti di autolesionismo che continuano a

verificarsi con la stessa frequenza delle azioni punitive condotte di notte dalle forze di polizia, come hanno urlato i migranti dall’interno del centro. Malgrado il divieto assoluto di ingresso da parte del prefetto, infatti, alle nostre voci ed alle voci di coloro che erano rinchiusi all’interno è stato possibile superare le sbarre e lo schieramento della polizia.

Le storie quelle di sempre, ma ancora più tragiche per la certezza che quelle persone che ci stavano parlando avrebbero subito l’ennesima ritorsione, una punizione per avere comunicato all’esterno la loro disperazione, ma soprattutto le condizioni indegne del trattenimento amministrativo, e la violazione dei più elementari diritti della persona. Ma quello che più li feriva era l’atteggiamento di derisione da parte delle forze dell’ordine e degli infermieri nei confronti di chi, come estrema protesta, non aveva trovato altro mezzo che infierire sul proprio corpo o tentare il suicidio. “Prima o poi qui ci scappa il morto”, queste le parole più terribili che venivano dalla gabbia oggi, parole che ci riportavano indietro alla strage seguita al rogo del 1999.

Trai cinquanta immigrati detenuti al Vulpitta, ancora un minore, sembra, del quale si sarebbe dovuto accertare l’identità, e molti che denunciavano l’assenza del diritto di difesa, dopo mesi di trattenimento, qualcuno trasferito da Torino, poi a Roma e a Bari, quindi a Trapani, e convalide da parte del giudice di pace solo sulla carta, con un ruolo complice di molti difensori d’ufficio che permettevano lo svolgersi delle udienze di convalida senza alcuna possibilità di contraddittorio. Ma quello che abbiamo ricevuto è stata soprattutto una richiesta di aiuto per porre termine ai trattamenti disumani o degradanti che venivano denunciati all’interno di quelle sbarre, a partire dalla frequente privazione dell’ora d’aria, peggio che in carcere, dicevano tanti. Una richiesta di aiuto che, proprio per le ritorsioni che potrebbero subire le persone che hanno protestato, ci impegna e che ci preoccupa perché immaginiamo cosa potrà subire chi ha gridato da quella gabbia per farsi sentire da noi, fuori. Cercheremo di verificare in tutti i modi, prima di tutto, oltre alla legittimità delle misure di trattenimento, che sorte subiranno gli immigrati che questa mattina hanno avuto il coraggio di parlare con noi. E ci batteremo con tutte le nostre forze per una visita, al più presto, di parlamentari, giornalisti ed avvocati indipendenti, in una struttura che avrebbe dovuto essere chiusa dal 2007, come richiesto anche dalla Commissione ministeriale presieduta da Staffan De Mistura, oggi sottosegretario del governo Monti. Negli anni successivi rapporti di agenzie umanitarie e visite di parlamentari hanno ribadito la richiesta di chiusura del Vulpitta, ma il CIE più vecchio d’Italia è ancora lì con tutta la sua tragica valenza simbolica, luogo di morte e di deportazione.

Dopo l’ultima relazione sullo stato delle carceri e dei centri di detenzione per immigrati,presentata in Senato pochi giorni fa, rilanciamo ancora più forte non solo la richiesta di entrare nei CIE, ma la richiesta di una loro immediata chiusura, perché è l’intero sistema dei CIE che produce prassi in aperto contrasto con le norme costituzionali e legittima metodi di trattenimento che non sono rispettosi della dignità della persona umana, come a Trapani, non solo al Vulpitta, ma anche nel CIE di Milo, come nelle fasi di trasferimento degli immigrati da espellere, ammanettati con le fascette di plastica o con la bocca sigillata con lo scotch.

Chiediamo con forza ai parlamentari di impegnarsi per visitare al più presto i CIE italiani, a partire dal Vulpitta di Trapani. Le forze politiche che si richiamano ancora ai diritti della persona ed alla Costituzione democratica, che vieta ogni violenza sulle persone comunque sottoposte dalla polizia a limitazione della libertà personale (art. 13), dovrebbero indurre il Governo Italiano a modificare urgentemente la attuale legislazione, la cui principale caratteristica è di essere di per sé priva di umanità e solidarietà e applicata porta alla costante violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.Come è stato scritto in un recente documento dell’ASGI ( Associazione studi giuridici sull’immigrazione) “oggi è possibile trattenere per un anno e mezzo nelle carceri amministrative – strutture non soggette alle garanzie previste dall’ordinamento penitenziario e penale- delle persone solo perché prive di permesso di soggiorno. Oggi, anche a chi ha le condizioni (di lavoro, ad esempio, o di famiglia) e non è consentito di ottenere in Italia il permesso di soggiorno.Una legislazione irragionevole, che non si preoccupa dell’umanità ma solo di controllare ed espellere. Una legislazione disumana e degradante e perciò contraria alla Costituzione e alle principali Convenzioni internazionali”. Ed a questa legislazione si aggiungono prassi amministrative che evidenziano “una grave violazione dei diritti umani fondamentali da parte delle forze dell’ordine, che dimostra che nei luoghi dove i legali o l’opinione pubblica non può accedere, come quelli deputati alla detenzione amministrativa, si crea un terreno fertile per gli abusi e le violazioni”.

PER QUESTE RAGIONI RICHIEDIAMO CON FORZA ANCORA MAGGIORE, DOPO IL PRESIDIO DI QUESTA MATTINA DAVANTI AL CIE VULPITTA DI TRAPANI LA RICHIESTA DI UNA VISITA URGENTE DI PARLAMENTARI E GIORNALISTI IN TUTTI I CIE ITALIANI, A PARTIRE DA QUELLI DI TRAPANI.

Fulvio Vassallo Paleologo – ASGI