Il Centro di accoglienza Umberto I di Siracusa: cercare un tempo nell’accoglienza che non si può programmare.
Il centro di accoglienza Umberto I , gestito dalla Cooperativa Clean Service, è situato poco distante dal centro di Siracusa, “ a 15 minuti di bicicletta”come ci dicono alcuni migranti che da lì sono passati. Una volta giunti nei pressi è comunque difficile sbagliarsi, visto che anche qui la presenza di carabinieri ed esercito all’esterno della struttura è abbastanza consistente. Oggi è giovedì, quindi il Polibus di Emergency, che in tutti gli altri pomeriggi fornisce assistenza medica e un servizio di mediazione culturale, è chiuso, perché gli operatori sono impegnati altrove, e non ci sono migranti in attesa del loro turno ad aspettare. Mostriamo la nostra autorizzazione alla visita e i carabinieri, controllati i nostri documenti, ci lasciano con il direttore Giampiero Parrinello, che ci accompagna nel cortile interno della struttura. E qui resteremo praticamente per tutte le due ore della nostra visita perché, come ci comunica il direttore, le stanze e i locali del centro stanno subendo lavori di ristrutturazione e manutenzione e non possono essere visitati.
Siamo in un cortile ampio e rettangolare, tipico degli istituti scolastici, qual’era prima l’Umberto I. Tutt’intorno corrono le balconate dell’ edificio a due piani dove si affacciano i locali adibiti a stanze per alloggiare i migranti. Ci informiamo sul tipo di convenzione stipulata tra la Clean Service e Prefettura sulla gestione del centro, e, con una certa sorpresa, apprendiamo che la questione non è molto chiara. In sostanza, come ci spiega Parrinello, l’Umberto I ha una convenzione come centro di prima accoglienza con la Prefettura, ma nella realtà, da tre anni a questa parte, il tipo di utenza che si trova ad ospitare su invio della Prefettura è abbastanza eterogeneo. Tutto ciò ovviamente per l’annosa questione dello stato di emergenza, che in questa struttura ha sempre dettato legge, in quanto la sua attivazione risale ai tempi della cosiddetta “Emergenza Nord Africa”. Per chiarire la questione, Parrinello ci illustra la situazione attuale del centro: oggi vi sono circa 200 persone, tra cui una famiglia di siriani arrivati da un centro dell’agrigentino, e circa 120 migranti appena sbarcati, provenienti principalmente dall’Africa sub sahariana. Oltre a loro, sono presenti anche circa 80 “stanziali” come li definisce Parrinello, cioè migranti ospitati in quanto testimoni di giustizia, e altri profughi “riammessi” al centro in quanto tenuti a soggiornare in territorio siracusano per questioni legali e burocratiche da espletare. Questo significa che, insieme a persone arrivate da non più di tre giorni o una settimana, convivono altri che sono in Italia già da parecchi mesi, con una procedura di richiesta di protezione internazionale o di documenti già avviata, ed esigenze ben diverse. “Situazioni di questo genere sono per noi abituali”, dice Parrinello. “Altre volte abbiamo accolto in stanze separate migranti destinati al rimpatrio o affetti da scabbia, cercando sempre di gestire la cosa al meglio nonostante le difficoltà oggettive che questo comportava”. Incrociamo poche persone, per lo più personale addetto alle pulizie, operatori e i membri delle forze dell’ordine che passeggiano per il cortile. “la loro presenza è dettata principalmente dalla sorveglianza contro l’abusivismo di qualche approfittatore, essendo questa una struttura aperta. I 15 operatori del centro si turnano comunque giorno e notte, quindi gli ospiti non sono mai soli.” ci dice il direttore. Di migranti se ne vedono però molto pochi. “Generalmente molti, soprattutto siriani e palestinesi, si allontanano dopo uno o due giorni dall’arrivo, se non poche ore. Con il tempo siamo sempre più attenti, come gestori, a segnalare le presenze esatte, per non dare adito a dicerie su nostre possibili intenzioni di speculazione, che sarebbero del tutto inappropriate. Ad ognuno viene assegnata una stanza, che poi può gestire in completa autonomia e, solo nel caso in cui non siano ancora stati foto-segnalati al porto, i migranti attendono in due ampi saloni al primo piano, per poi essere identificati ad uno ad uno dalla polizia scientifica, che ha un ufficio a piano terra. Con il tempo abbiamo perfezionato anche il nostro servizio di assistenza medica, aiutati comunque e sempre da Emergency, e, in sincerità, pur nel caos più totale, abbiamo migliorato parecchie cose. Sicuramente, nonostante i tempi di preavviso ridottissimi, siamo riusciti ad evitare situazioni di promiscuità tra adulti, minori e famiglie o “casi particolari”, che si registravano purtroppo anni fa.”Percorrendo il cortile entriamo nella sala mensa, da cui riusciamo poco dopo, trovandoci dinanzi a file di biciclette. Pochi ragazzi, di origine pakistana, siedono vicino alla macchinetta per il caffè, in uno spazio vuoto che sembra enorme. “I ragazzi che transitano da qui sono moltissimi. Ultimamente abbiamo deciso di dare loro il pocket money giornaliero di 2.50 euro in carte telefoniche e sigarette. Per muoversi usano gli autobus, che possono non pagare poiché generalmente non sono multati, o le bici. “Questo vale soprattutto per chi rimane più a lungo, e a questo proposito Parrinello spiega che gli operatori stanno cercando di fare il possibile per organizzare la vita del centro tenendo conto anche di loro.“Di molti conosciamo praticamente tutto, siamo ormai amici, e sapendo la loro difficoltà nel rimanere in una situazione di attesa, cerchiamo di organizzare attività, come la visione delle partite di calcio quest’estate, di fermarci con loro a parlare, di favorire il loro inserimento lavorando con altre associazioni sul territorio. Per alcuni testimoni di giustizia, per esempio, stiamo collaborando con l’associazione Proxima di Ragusa, cercando anche eventuali altri luoghi dove collocarli, ma capite che tutto ciò richiede molto tempo a disposizione, e molte energie, oltre alla disponibilità di spazi che non troviamo sul territorio.”Alcuni degli altri presenti in modo più stabile, a detta di Parrinello, riescono a trovare anche piccoli lavori, ma ovviamente in nero e soprattutto in campagna, dove per farli andare i padroni forniscono pure la bicicletta. Una situazione molto difficile quindi da gestire, e pesantemente ostacolata dalle caotiche politiche organizzative che si nascondono dietro l’emergenza”. Nell’allontanarci dal centro, senza aver scambiato più di poche parole con i migranti che lo vivono, ci ripromettiamo di tornare presto. Ma casualmente, pochi giorni dopo, mi imbatto a Citta’ Giardino, un piccolo centro vicino a Siracusa, in un gruppetto di cinque ragazzi che all’Umberto I sono stati per qualche tempo. Ascoltano attentamente il mio racconto e vogliono parlarmi dell’esperienza che loro hanno vissuto lì. “La verità è che quando arrivi dopo un viaggio in cui per poco non sei morto, non riesci a capire nemmeno dove sei, almeno per me è stato così” dice C. “Sono stato all’Umberto I per cinque giorni e ovviamente mi ricordo gli stanzoni, le persone, il mare che si vedeva appena fuori. Era come un accampamento provvisorio per me, normale no?” E., che al centro è rimasto più a lungo, si introduce “penso che eravamo in troppi. Non solo per lo spazio ma per le situazioni diverse. E l’attenzione era al massimo solo per le cose di primissima necessità, perché per gli operatori c’era da fare. Dicono per l’emergenza. C’erano i medici con cui parlavo spesso. Ma poi se ne andavano pure loro. C’era la separazione tra chi arrivava e chi c’era già. A me sinceramente sembrava che tanti problemi su come organizzare gli spostamenti e le sistemazioni fossero preoccupazioni inutili. Più o meno eravamo tutti nella stessa situazione”. “Io non sono d’accordo”, ribatte A. “Appena arrivato per esempio non capivo una parola di italiano. E non capire fa male. Anche se di una cosa sono sicuro, che quando qualcuno passava del tempo con me cercando di comunicare in qualsiasi modo o di interessarsi alla mia situazione, mi passava la tristezza. Credo che questo sia una cosa di cui abbiamo bisogno tutti, che qualcuno ci dia un po’ di tempo, gratis”. Lucia Borghi-Borderline Sicilia Onlus