Respinti e bloccati. I cortocircuiti dell’accoglienza in Sicilia
L’esternalizzazione del confine e le nuove frontiere igienico-sanitarie introdotte durante la pandemia hanno creato una situazione paradossale per la quale le persone che arrivano sull’isola rimangono bloccate, senza possibilità né di accoglienza né, più genericamente, di movimento.
Siamo entrati in contatto con due gruppi, ciascuno di quattro ragazzi senegalesi arrivati in Italia nel mese di dicembre: un primo gruppo arrivato a Lampedusa a inizio mese, l’altro a Siracusa, a bordo della Geo Barents, a fine mese. Tutti gli otto ragazzi non solo hanno attraversato esperienze di persecuzione, violenza e sfruttamento sia nel paese di origine che in Libia, ma in più si tratta di persone giovanissime, di cui una è minorenne.
Le criticità in questione sono almeno due: in primo luogo vi è una grave violazione del diritto d’asilo, dato che – al momento dello sbarco dalla nave quarantena – non gli è stata data la possibilità di presentare richiesta di protezione, ma al contrario gli è stato notificato un decreto di respingimento differito che gli ordinava di lasciare l’Italia entro sette giorni. Dai loro racconti emerge la totale assenza di informativa legale a bordo delle navi quarantena e la mancanza di comprensione di quanto poi accaduto allo sbarco con la notifica dei provvedimenti di allontanamento.
La motivazione potrebbe risiedere nel fatto che in quanto senegalesi, e quindi provenienti da un “paese terzo sicuro”, vengono considerati automaticamente (ed illegittimamente) come non titolati ad ottenere una protezione internazionale e quindi non vengono nemmeno informati su tale possibilità – come di fatto già succede con altre nazionalità). In secondo luogo, non c’è stata nei loro confronti alcuna procedura di valutazione sulle condizioni di vulnerabilità, tra le quali la minore età. Per quanto riguarda le procedure di identificazione e segnalazione delle particolari esigenze legate alla vulnerabilità, infatti, ci viene riferito da una fonte interna, che la Croce Rossa abbia ricevuto l’indicazione di non effettuare più la valutazione della minore età a bordo delle navi quarantena, di fatto legittimando la presenza di minori e di situazioni di fragilità al loro interno.
Inoltre, la mancanza di accesso alla domanda di protezione e il respingimento differito implicano l’impossibilità di accedere ad una struttura di accoglienza, e pongono l’obbligo di lasciare il paese in autonomia entro 7 giorni. Ma come si può lasciare l’Italia (da Roma, in aereo) senza essere stati vaccinati, ora che il super green pass è obbligatorio per autobus e traghetto?
Questo è il cortocircuito che il confine sanitario crea: si sopprime il diritto delle persone migranti a muoversi, presentandola come unica soluzione per controllare i contagi, ma in realtà, spingendo le persone nell’irregolarità, quindi senza possibilità di accedere al sistema sanitario, nei fatti la misura igienico-sanitaria crea ancora più insicurezza.
L’altra criticità riguarda quindi il tipo di misure prese per prevenire e contenere la diffusione del Covid. I senegalesi soccorsi e portati a Lampedusa, sono stati vaccinati nell’hotspot dell’isola non appena arrivati, in una situazione in cui è difficile valutare la reale volontà di vaccinarsi e l’esistenza di eventuali patologie pregresse. In più ci si chiede il senso di tanta arbitrarietà: perché coloro che sono sbarcati a Lampedusa sono stati vaccinati e quelli arrivati a Siracusa sulla Geo Barents non hanno ricevuto nessuna dose, e quindi non hanno nessuna possibilità di muoversi, se non in maniera “illegale”?
Tutti gli otto ragazzi sono arrivati autonomamente da Augusta a Catania, dove li abbiamo incontrati e supportati in collaborazione con altre associazioni e con la comunità senegalese – per poter fare ricorso contro il decreto di respingimento e, finalmente, presentare domanda di protezione, dal momento che hanno manifestato espressamente tale intenzione, oltre quella di rimanere in Italia.
Ma i problemi non finiscono qui. Per entrare in un centro d’accoglienza (senza provenire direttamente da uno sbarco), ad oggi, serve una quarantena obbligatoria di almeno 10 giorni (che per i vaccinati dovrebbe ridursi a 5 giorni), nonostante tutte queste persone abbiano già effettuato il periodo di quarantena in nave. Se gli fosse stato permesso di fare richiesta di protezione internazionale al momento dello sbarco, come avrebbero dovuto, non ci sarebbero stati problemi di inserimento all’interno del sistema d’accoglienza nazionale. Invece, essendo stati respinti in maniera illegittima, hanno bisogno di un secondo periodo di quarantena, in un luogo non specificato e soprattutto difficilissimo da reperire all’interno del sistema di accoglienza.
Per diversi giorni la Prefettura di Catania non è stata in grado di trovare un luogo in cui fosse possibile fare questa quarantena a causa della mancanza in tutta la provincia di questo tipo di strutture, e anche in provincia di Siracusa ci sono almeno una decina di persone lasciate in mezzo alla strada con un decreto di respingimento (con misure emergenziali allestite dal comune) e senza possibilità né di muoversi “legalmente” né di avere un supporto abitativo istituzionale.
In questo senso, la possibilità di ricevere un supporto abitativo, logistico e giuridico si basa interamente sulla fortuna di incontrare reti solidali che devono confrontarsi con le incoerenze, le inadempienze e la paralisi istituzionali. Sappiamo infatti che le persone respinte sono molto più numerose di quelle con cui siamo venuti in contatto, e questo significa che molto probabilmente si saranno già disperse nelle maglie dell’invisibilità e dello sfruttamento, con l’aggravante di una pandemia in corso.
Al di là di quest’ultima, siamo di fronte alle stesse prassi illegittime che da anni continuano a perpetrarsi e che da anni continuiamo (e continueremo) a denunciare.
Borderline Sicilia