Pian del Lago: CPR di massima sicurezza
Siamo stati a Caltanissetta per monitorare la situazione del mega centro di Pian del Lago. La visita è stata condotta pochi giorni prima del tentativo di fuga di una trentina di persone detenute dentro il CPR, che cercavano di sottrarsi alla privazione della libertà personale e della libertà di movimento.
Ad oggi, il centro è diviso in tre aree che includono l’ufficio immigrazione, il CARA insieme al CPA (centro di prima accoglienza) che opera al momento come centro Covid e il CPR, che si trova dietro il CARA.
Il CPR ha riaperto ed opera a pieno regime dopo essere stato chiuso a seguito di numerosi episodi di incendi, spesso scaturiti in seguito ad eventi tragici come la morte di un uomo Tunisino detenuto nel CPR avvenuta nel Gennaio dell’anno scorso. La morte è stata dichiarata ‘naturale’ ma ci sono sospetti che sia stata causata anche dalla mancanza di trattamento adeguato all’interno.
Se lo Stato italiano dichiara che sono stati fatti lavori di ‘adeguamento e miglioramento’, la nostra visita di monitoraggio a fine settembre rivela soprattutto come i nuovi lavori puntino sempre di più sulla sorveglianza e il controllo (attraverso nuove videocamere di sorveglianza e un rafforzamento delle barriere) di persone detenute per lo più per l’esercizio del diritto di movimento. Ci chiediamo dunque, ‘miglioramento’ in che senso, e per chi? Come ci hanno detto alcune persone Tunisine – parlando da dietro due enormi recinzioni – ‘qua siamo nella merda.’
Dal 2016, tutte le richieste effettuate in prefettura da associazioni per poter visionare e ispezionare il centro di detenzione sono state rifiutate.
Nell’ultimo anno e mezzo, poi, utilizzando il COVID come giustificazione, le difficoltà ad accedere e comunicare con le persone detenute si sono ulteriormente accentuate. È quindi una prassi quasi consolidata, e c’è il pericolo che continui anche dopo la pandemia, normalizzando una situazione illegittima. La mancanza di accesso all’interno rende praticamente impossibile la comunicazione con le persone, e rende il CPR ancora più ‘invisibile’.
Come tanti centri per migranti, Pian del Lago si trova in una zona ‘periferica’, totalmente isolata dal resto della città, e soprattutto non collegata tramite mezzi di trasporto pubblico. Abbiamo incontrato diverse persone che si erano recate all’Ufficio Immigrazione per il disbrigo delle loro pratiche amministrative e che stavano chiamando un taxi per tornare verso il centro città.
Dall’osservazione effettuata dall’esterno, risulta che sono presenti persone originarie della Tunisia e del Gambia. Un signore tunisino ci ha potuto dire che era là da 3 mesi, termine massimo per la permanenza in CPR. Rispetto alle informazioni che avevamo negli scorsi mesi sulla situazione delle persone tunisine in Italia – e cioè che in molti casi la loro permanenza in CPR era limitata a pochi giorni per via degli immediati voli di rimpatrio – sapere di una persona tunisina detenuta da tre mesi costituisce una novità. Oltre alla possibilità che si tratti di un caso particolare, c’è un elemento da non sottovalutare. La struttura di Pian del Lago è ad oggi in grado di “garantire” tutte le funzioni di contenimento in un unico luogo fisico.
Un “hub logistico” che sposta i corpi come se fossero merci da una parte all’altra della struttura: identificazione negli uffici della Questura, quarantena nel CPA ormai dedito a questa funzione, e poi CPR o CARA a seconda dello status definito dalle operazioni di identificazione. In quest’ottica diventa allora possibile che effettivamente anche una persona tunisina possa rimanere più di tre mesi all’interno del complesso di Pian del Lago e soprattutto che possa – dall’arrivo a Lampedusa fino al rimpatrio in Tunisia – non entrare mai in contatto con associazioni, avvocati/e, operatori/trici legali che possano verificare che il diritto all’accesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale venga rispettato.
La nostra attività di monitoraggio è stata bruscamente interrotta dai militari e dalla polizia, che hanno poi chiamato la Digos, per identificarci.
Il complesso di Pian del Lago – e i Cpr più in generale – continua ad essere un luogo inaccessibile, dove parlare con le persone recluse viene sempre impedito a tutti i costi. È infatti bastato scambiare poche parole con quattro persone detenute per percepire la voglia di libertà di queste ultime. Rimangono piccoli atti di resistenza nel silenzio imposto dalle autorità.
Redazione Borderline Sicilia