Stiamo ricostruendo l’emergenza
Il
pianto straziante dei bambini, lo sguardo perso nel vuoto di un ragazzo additato
come
Foto di Alberto Biondo
presunto scafista, la paura della donna che non ha resistito all’ennesima
fila, il procedere incerto delle centinaia che scendono la scaletta della
Dattilo in attesa della successiva, interminabile, fila verso l’ignoto. A questo
e a tanto altro abbiamo assistito nel porto di Palermo, nei giorni scorsi, dove
1.052 persone sono state sbarcate dopo essere state salvate in 8 diversi eventi
SAR.
Al
porto come al solito tutti gli attori istituzionali e non presenti si prodigano
per la buona riuscita delle operazioni. Ma come al solito la buona volontà non
è sufficiente ed è inevitabile che i nodi di un sistema che non funziona
Foto di Alberto Biondo
vengono
sempre al pettine. I ragazzi
in fila mostrano le loro difficoltà. Basta osservare come si dispongono quando
la polizia chiede loro di aspettare: si mettono a terra e la posizione è come
dentro la barca, uno dietro l’altro, segno di paura e di stress psicologico. Le
torture e le violenze le portano addosso e restano indelebili nella loro memoria.
Dopo
tre giorni passati sulla nave, le escoriazioni sulla pelle sono evidenti e
passare un’intera giornata sotto il sole cocente di Palermo non è una
passeggiata. Per molti il viaggio non appena sbarcati sono stati messi sopra i
pullman e
Foto di Alberto Biondo
trasferiti in Lombardia, Veneto, Toscana, Campania e Piemonte. Per
altri, anche minorenni, prima di arrivare a destinazione nei centri
emergenziali la notte è stata trascorsa all’aperto, in questura, fino a notte
fonda per le il rilascio delle impronte digitali. Ed ancora per circa 85 adulti, dichiaratisi
minori, il destino ha giocato un altro scherzo: notte trascorsa al porto all’interno
dei pullman, per transitare dalla questura di Palermo alle prime ore dell’alba
ed infine mettersi in viaggio, verso le nove di mattina dell’indomani:
destinazione CAS delle Marche.
E ai
neoarrivati minorenni, per lo più provenienti da Gambia, Nigeria, Guinea, Costa
D’Avorio e Senegal, rimasti in Sicilia, toccherà pagare il conto salato di un
sistema al collasso. Non essendoci posti liberi nelle comunità per minori,
saranno costretti a trascorrere un tempo infinito e illegale in un hotspot (come
è avvenuto fino ad oggi a Lampedusa e Pozzallo) oppure, come a Palermo, collocati
in strutture di emergenza gestite da volontari (come quelle messe a
disposizione dalla Caritas) o ancora stipati nei centri esistenti, teatro di proteste
quotidiane(uno per tutti il caso del centro Asante, di via Monfenera, a Palermo)o
peggio collocati in comunità dedicate, in deficit economico, che si liberano
dei neo diciottenni mettendoli alla porta di punto in bianco, annientandone
speranze ed aspettative (ultimo il caso di un ragazzino nigeriano ex ospite della
comunità alloggio “Dumbo” di Licata).
Non
poteva mancare, ovviamente, l’individuazione dei presunti scafisti, 16 (due per
imbarcazione soccorsa), capro espiatorio da sbattere in prima pagina, e 27 potenziali
testimoni di giustizia.
Quel
che resta, dopo uno sbarco così numeroso, sono sacchetti di plastica sul molo e
il
Foto Alberto Biondo
ricordo indelebile dello sguardo dei migranti. In questo sistema
fallimentare non basta la buona volontà degli operatori delle organizzazioni
non governative che, per quel possono,
cercano di rendere meno pesante l’arrivo e più agevole la permanenza delle
persone. Ma certamente è sufficiente a far gridare ancora una volta che siamo
in piena emergenza, per far filare con più scioltezza i piani di chi gestisce e
di chi guadagna in questo gioco al massacro.
Alberto
Biondo
Borderline
Sicilia Onlus