Porta Felice: (non) è solo un caso?
MSNA è sigla nota agli addetti ai lavori. Altrettanto ricorrente fra quest’ultimi potrebbe, o meglio dovrebbe, essere il seguente pensiero: “Il fenomeno è al quanto complesso e per comprenderlo, definirlo, ed eventualmente gestirlo al meglio, sarebbe opportuno procedere per gradi partendo dai dati oggettivi”. Sebbene in tale sede non sia possibile percorrere in modo esaustivo questo percorso virtuale e virtuoso, cercheremo ugualmente di leggere e comprendere il singolo caso in questione all’interno del contesto generale.
MSNA è l’acronimo di minori stranieri non accompagnati. Nel 2016 ne sono sbarcati sulle coste italiane 25.846, segnando un aumento esponenziale rispetto ai 12.360 giunti l’anno precedente. Tale dato spiega l’attenzione ora riposta sul tema e potrebbe anche aver positivamente influito sull’approvazione definitiva della c.d. legge Zampa a seguito di un lungo iter legislativo. Nelle more dell’implementazione delle nuove norme e della costituzione delle nuove prassi, ad oggi, è possibile constatare il persistere di vecchie criticità, più o meno note.
Ricordiamo brevemente: la permanenza dei msna all’interno degli Hotspot (forse sarebbe più opportuno definirli “punti di crisi” alla luce della legge Minniti-Orlando); i lunghi tempi di permanenza all’interno dei centri di prima accoglienza; la mancata nomina del tutore o ancora il ricorso alla delega al responsabile del centro/comunità in barba al principio di terzietà; i numerosissimi casi di minori divenuti maggiorenni all’interno dei centri e costretti, nella migliore delle ipotesi, a ricominciare e/o avviare da “adulti” l’iter per il riconoscimento della protezione internazionale, probabilmente all’interno di Cas collocati in località remote. Talvolta, invece, il raggiungimento della maggiore età significa finire in strada con tutti i pericoli che ne conseguono.
Meno conosciute, ma non per questo meno gravi, sono le conseguenze della confusione relativa alle competenze e responsabilità delle diverse istituzioni. Sebbene anche questo aspetto sia stato recentemente oggetto di modifiche sul piano normativo, l’armonizzazione delle prassi appare ancora lontana e anche le domande più semplici non trovano risposte chiare.
Il caso di Porta Felice stimola varie riflessioni e di diversa natura, ma nella fattispecie una domanda in particolare: chi dispone effettivamente un trasferimento di minori da un centro di prima accoglienza ad una comunità di secondo livello?
Perché giungiamo a tale domanda? Ecco il “caso” Porta Felice. Le virgolette sono d’obbligo perché la sensazione, per non dire la certezza, è che quanto andiamo a descrivere non rappresenti un’eccezione nel panorama siciliano dell’accoglienza. Panorama che, relativamente ai msna, assume una rilevanza particolare. Si ricorda che il 38,5% dei minori presenti e censiti in Italia trova attualmente accoglienza in Sicilia (dati ufficiali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali aggiornati al 31 maggio 2017).
La cooperativa Porta Felice ad inizio 2015 apre la prima struttura a Palermo, in via Juvara. Nonostante il palesarsi di alcuni problemi di liquidità, alcuni mesi dopo apre una seconda struttura, sempre a Palermo, in via Marinuzzi. A maggio 2016, a causa dei continui ritardi nei pagamenti, la Cooperativa opta per una plateale protesta portando fisicamente gli ospiti di fronte alle porte del Comune di Palermo. La promessa di un tempestivo pagamento riporta la situazione alla normalità fino a luglio 2016 quando si arriva alla seconda protesta, effettuata con le stesse modalità, che porta al trasferimento degli ospiti e alla chiusura informale delle strutture per l’impossibilità di proseguire l’attività da parte della Cooperativa impegnata anche nella gestione di un lido in località balneare.
Sulle modalità di gestione e soprattutto di rappresentanza di quest’ultima torneremo più avanti.
L’avvento dell’estate segna dunque la fine della “prima fase”. La “seconda” inizia ad ottobre 2016 quando riapre la struttura di via Juvara, o forse sarebbe più opportuno dire torna ad accogliere minori visto che non sarebbe mai stata formalmente chiusa, con una nuova responsabile che resta in carica solo una settimana. La successiva ricopre la carica fino a metà maggio scorso quando rassegna le proprie dimissioni. Pochi giorni dopo arrivano i primi provvedimenti della Procura dei Minori che impongono il trasferimento immediato degli ospiti presso altre strutture più adeguate. Nell’arco di una settimana il centro, nel frattempo celermente trasferito da via Juvara a via Marinuzzi, forse proprio per evitare i suddetti provvedimenti, viene de facto svuotato.
Le motivazioni dei trasferimenti non sono del tutto chiare o meglio non sono a noi note. È evidente però che la vicenda di Porta Felice è ben nota a tutti gli operatori del settore, istituzionali e non. Sono diverse le ispezioni effettuate nel tempo dalla Procura dei Minori nonché dall’Ufficio Nomadi e Immigrati del Comune di Palermo. È altrettanto evidente che qualcosa non torna. Altrimenti non si spiega come alla “seconda fase” sia seguita anche la “terza”.
Proprio così. Dopo esser stato svuotato, il centro è tornato ad accogliere minori.
Le modalità di inserimento dei nuovi ospiti rappresentano proprio l’aspetto più nebuloso e meritevole di attenzione. Dalle diverse testimonianze raccolte, emerge chiaramente come l’amministrazione comunale non reputi la cooperativa Porta Felice o almeno la qualità dell’accoglienza offerta all’altezza degli standard previsti dalla normativa vigente. Le stesse testimonianze raccontano di un esplicito diniego dell’Assessorato alla Cittadinanza Sociale, in occasione di un recente sbarco al porto di Palermo, alla richiesta avanzata da parte della Cooperativa di accogliere nuovi ospiti presso il loro centro ufficialmente aperto ma vuoto.
Per superare tale ostacolo, i responsabili della Cooperativa si sarebbero direttamente recati a Mazara del Vallo – presso il centro di primissima accoglienza per msna gestito dalla coop. Fiori di Pesco – per prelevare gli attuali 13 ospiti accolti in via Marinuzzi. Tale modalità di inserimento, secondo alcune testimonianze, avrebbe anche permesso loro di selezionare gli ospiti più graditi: ben 9 minori provenienti dal Bangladesh su un totale di 13 poiché ritenuti più miti e meno inclini alle rivolte rispetto ai loro coetanei di origine africana.
Ricollegandoci al quesito inizialmente espresso potremmo articolarlo in ulteriori quesiti ora più definiti: chi ha disposto tale trasferimento? È necessario un nulla osta allo stesso? In tal caso chi lo ha concesso? Il Comune di Palermo può decidere di non inviare minori in una struttura che insiste sul proprio territorio ma non può opporsi, motivandolo, ad un trasferimento disposto dall’Autorità competente? L’accreditamento all’albo regionale (l.r. 22/86) di ambo le strutture ha inciso sulla vicenda? Ovvero il trasferimento da una struttura di primissima accoglienza ad una di secondo livello è forse semplificato?
Dal punto di vista normativo evidenziamo quanto segue.
Il DPRS n. 600 del 13/08/2014 di approvazione degli standard strutturali e organizzativi per l’accoglienza in Sicilia dei MSNA nella sezione 2 “Strutture di accoglienza di secondo livello di tutti i minori stranieri non accompagnati, anche nell’ambito dello SPRAR” afferma, alla voce “destinatari”, quanto segue:
La struttura accoglie minori trasferiti dal centro di prima accoglienza dietro provvedimento delle Autorità Giudiziaria, con contestuale comunicazione al Comune presso il quale è ubicata la struttura.”
Nella Circolare del 7 aprile 2016, n. 2 dell’Assessorato della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro si legge:
“Con D.P. 513 del 18 Gennaio 2016, pubblicato sulla G.U.R.S. n. 9 del 26 febbraio 2016, é stato approvato un nuovo standard strutturale ed organizzativo per le strutture di accoglienza di secondo livello per i Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA), modificando il precedente standard approvato con D.P. 600/2014.”
E in particolare:
“In merito al funzionamento del servizio residenziale nelle strutture di secondo livello, di norma i MSNA saranno inseriti a seguito di trasferimento dalla struttura di primissima accoglienza con provvedimento dell’Autorità Giudiziaria Minorile e con contestuale comunicazione al Comune dove è ubicata la struttura e alla Procura per i Minori presso il competente Tribunale per i Minorenni.
In situazioni di emergenza e in assenza di disponibilità nelle strutture di primissima accoglienza si può verificare che l’inserimento nelle strutture di secondo livello possa avvenire per il tramite delle Questure/Prefetture e con provvedimento dell’Autorità Giudiziaria Minorile. Anche in questa ipotesi vanno contestualmente informati il Comune e la Procura per i Minorenni.”
In realtà la gestione dei trasferimenti e l’organizzazione degli stessi sembrerebbero gravare principalmente sui servizi sociali che devono contestualmente darne comunicazione all’autorità competente. A volte tale comunicazione non viene effettuata tempestivamente al Tribunale dei Minori. Inoltre, come già accennato in precedenza, va ricordato che spesso il tutore è il responsabile stesso della comunità che ha l’affido temporaneo del minore nelle more della nomina del tutore.
Tornando alla vicenda di Porta Felice, sorprende ancora un altro aspetto. Dopo i trasferimenti disposti dalla Procura dei minori e il successivo svuotamento del centro, con un’amministrazione comunale che non fa mistero di non apprezzare l’operato della cooperativa come è possibile che tale centro continui ad operare andando a prelevare fisicamente nuovi ospiti in un’altra provincia?
Per rispondere vorremmo sviluppare gli ultimi due aspetti fin qui poco analizzati.
Cose è accaduto e/o accade all’interno delle comunità gestite dalla cooperativa Porta Felice? E la grande attenzione/avversione nei confronti della stessa è solo conseguenza di tale operato o vi sono altre ragioni?
Quanto appreso, ascoltato e dedotto dalle interviste effettuate a varie figure coinvolte personalmente nella vicenda (si sottolinea che fra queste non vi sono responsabili della cooperativa né funzionari del Comune), ci restituisce la sensazione di un centro di accoglienza, come già evidenziato, assolutamente inadeguato, ma non al punto da rappresentare un’eccezione rispetto al resto delle comunità attive sul territorio regionale. Ciò non significa legittimarne l’inadempienza o deresponsabilizzare l’ente gestore, ma rappresenta un invito, un monito a vigilare su tutte le comunità di accoglienza per minori piuttosto che definire la vicenda di Porta Felice quale “caso” eccezionale.
Ribaltando l’ordine naturale delle esposizione, e nella speranza che le ultime affermazioni restino maggiormente impresse, riportiamo infine alcuni episodi chiave.
Le tre fasi da noi individuate (I apertura 2015 – chiusura “informale” luglio 2016; II riapertura ottobre 2016 – provvedimenti della Procura e “svuotamento” maggio 2017; III “ripopolamento” maggio 2017 ad oggi) mostrano alcune costanti.
Non vi sarebbe corrispondenza fra chi gestisce formalmente ed informalmente la struttura. La gestione degli affari della cooperativa sembrerebbe esser esclusiva di un imprenditore, costantemente supportato dalla moglie, proveniente dal settore turismo. Rappresentante legale della cooperativa risulta invece un ausiliare che all’interno della struttura si occupa delle pulizie. Un invalido civile con una sordità importante che dorme nel centro coprendo anche i turni notturni. L’avvicendarsi e il rimpasto continuo del personale rappresenta un’altra constante: oltre ai numerosi responsabili succedutisi, sarebbero almeno diciotto gli operatori ad aver lasciato volontariamente il lavoro. Le ragioni di tante dimissioni sarebbero legate alle condizioni di accoglienza. Nello specifico a render impossibile il lavoro sarebbe stato più il clima all’interno del centro che le condizioni materiali. Fin quando almeno non sono cominciati i problemi di liquidità non sarebbe mancato nulla agli ospiti. O meglio nulla di ciò che si può trovare negli esercizi commerciali. Molti hanno ricordato come la spesa inizialmente fosse sempre completa e come agli ospiti fosse concesso di cucinare. I ritardi nei pagamenti hanno semplicemente esasperato una situazione già viziata da gravi lacune: assenza totale di esperienza dei vertici della cooperativa, ricco bagaglio di pregiudizi – che non sono automatica espressione di sentimenti razzisti ma piuttosto conseguenza di percezioni errate della realtà – mancanza di comunicazione, di dialogo con gli ospiti forse ingenuamente confusi con clienti fruitori di un servizio. In tal senso la doccia a tempo con tanto di interruttore per bloccare l’erogazione dell’acqua appare più una caratteristica da cabina al mare piuttosto che di centro di seconda accoglienza. La situazione è presto degenerata con il ricorso ad inefficaci metodi intimidatori-repressivi (oltre al noto metodo della decurtazione del pocket money o l’altrettanto ricorrente minaccia di rx al polso con conseguente modifica dell’età, si segnala nella “prima fase” l’installazione di telecamere nel salone, nel corridoio e nell’ufficio degli operatori utili per prevenire eventuali rivolte).
Alla luce di quanto illustrato sin qui, reputiamo di poter affermare che la cooperativa Porta Felice non rappresenti altro che l’ennesima cooperativa piombata nel mondo dell’accoglienza perché attratta dalla possibilità di realizzare guadagni.
Ci sembra altrettanto chiaro che, finita sotto la lente di ingrandimento, stia tentando di guadagnare credibilità avvalendosi anche di collaborazioni di personale apprezzato in questo mondo a sé di esperti di diritti umani. Ed in definitiva non possiamo biasimare chi cerca di riabilitare la propria immagine in difesa del proprio lavoro. È chiaro però che al cambiamento formale debba seguire, o meglio auspicabilmente precedere, un cambiamento sostanziale. Perché oltre che difenderlo se si vuole fare dell’accoglienza il “proprio lavoro”, occorre umiltà e voglia di imparare. Imparare che senza un progetto educativo, senza la volontà ferrea di offrire agli “ospiti” una possibilità di inserimento sociale e formativo non puoi ritenere il tuo compito assolto magari con merito perché, oltre a quanto strettamente previsto, acquisti spezie e salse varie.
Chiudiamo con una domanda: è possibile che l’attenzione su Porta Felice abbia già prodotto delle conseguenze di cui non siamo al corrente?
Tutte le persone incontrate hanno fatto sempre riferimento all’accreditamento all’albo regionale. Visionando l’albo regionale, tra le strutture di accoglienza non vi è più traccia della cooperativa Porta Felice. Ma se così fosse, perché il centro continua ad operare?
Elio Tozzi
Borderline Sicilia Onlus