La confusione regna sovrana, mentre i migranti muoiono
La guerra ai migranti miete sempre più vittime, senza discontinuità, vittime sempre più giovani di politiche frutto delle scelte di un’Europa sempre più chiusa in se stessa. Un’Europa in perenne sindrome da assedio, che rende la vita delle persone un inferno, come per le 606 persone arrivate venerdì scorso a Palermo a bordo della nave di SOS Mediterranee, che da tutti i giornali è stata ribattezzata come la nave dei bambini.
Una delle poche navi delle Ong ancora presenti in mare, dopo la vergognosa macchina del fango che ha causato il ritiro dal Mediterraneo di testimoni scomodi delle politiche di respingimento verso l’inferno della Libia. L’applauso partito dai migranti salvati e portati a Palermo, per salutare e ringraziare l’equipaggio di Sos Mediterranee, rende la misura della differenza dello stato d’animo delle persone salvate da navi delle ong con quello di coloro che invece vengono salvate da navi militari e di Frontex. È palpabile come il diverso trattamento a bordo delle navi umanitarie dia subito un senso di rassicurazione e tranquillità a chi è appena sopravvissuto a traumi e violenze, di cui sono ancora freschi ed evidenti i segni sui corpi.
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Gli attivisti ci hanno raccontato di una presenza massiccia di autorità e giornalisti che hanno fatto commoventi servizi sbattendo in prima pagina il volto di bambini senza nessun pudore, senza rispetto della privacy, ma solo con l’intento di vendere la notizia.
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È sufficiente dare uno sguardo ai titoli dei giornali, roboanti nei numeri, ma senza l’esattezza precisa della presenza dei MSNA (Minori Stranieri Non Accompagnati), perché la corsa imponeva il titolo ad effetto. Alla fine a Palermo sono arrivati 114 MSNA di varie nazionalità, ragazzi e ragazze che sono stati collocati nei centri di Palermo e provincia, riempiendo nuovamente le strutture che ad oggi erano in fase “calante” numericamente, visto che molti MSNA hanno compiuto 18 anni e sono stati trasferiti nei CAS per adulti. Quindi, per molti CPA per minori e per qualche comunità, questo sbarco è stata una vera e propria manna. Un esempio fra tutti il famoso CPA casa Asante, che ora ha nuovamente al suo interno circa 180 minori.
Sono arrivate anche tante famiglie con bambini, che hanno dovuto compiere un viaggio terribile. Molti di loro vivevano da tempo in Libia dopo essere scappati dalla Siria o dall’Egitto o dall’Eritrea. Molta gente che in Libia lavorava ha dovuto decidere ancora una volta di emigrare perché la guerra impazza, perché le milizie sono fuori controllo e mettersi nella rete dei trafficanti per trovare un’altra via d’uscita è l’unica opzione che hanno. Così riprendono le valigie in mano per un’altra meta, l’ennesima creata da una politica cieca e assassina.
Tantissime delle persone sbarcate sono vittime di tortura, mutilazioni genitali, colpi di machete, ustioni, ferite fisiche e psicologiche. Tutto ciò è frutto di precise responsabilità politiche, di una scelta ben precisa, che vive di spettacolo. Proprio come avviene a Palermo, dove appena si spengono i riflettori sulla commozione dello sbarco, tutto si trasforma: dalle passerelle si passa velocemente alle procedure per le identificazioni, senza un’adeguata attenzione verso le vulnerabilità. Un ragazzo con ustioni gravi e un colpo di pistola nella gamba è rimasto per ore al porto perché i medici non lo ricoveravano e perché la questura non gli dava una via prioritaria per l’identificazione. Un altro ragazzo con una sindrome post-traumatica da stress è rimasto per ore e ore dentro una tecnostruttura senza presidio medico. Per l’ennesima volta, finito lo sbarco tutti fanno armi e bagagli e lasciano il molo, dall’Asp alla Croce rossa, ai mediatori, ai volontari, lasciando al porto solo il personale di polizia che ha l’esclusivo compito della procedura identificativa: non sono medici e neanche operatori umanitari, e rispondono a regole ben precise. Regole che mettono la sicurezza davanti a tutto, persino davanti allo smembramento delle famiglie, come è avvenuto anche in occasione di questo sbarco.
Continuiamo a sostenere che la gestione degli sbarchi a Palermo sia migliore rispetto ad altri sbarchi fortemente militarizzati in altri porti, soprattutto per la presenza di organizzazioni del terzo settore, ma un presidio di tali presenze deve essere garantito anche dopo lo sbarco, fino a quando l’ultimo dei migranti abbia lasciato la tecnostruttura. Mediatori e medici devono restare per poter dare attenzione alle problematicità che ora dopo ora aumentano con la fatica, lo stress e la paura di essere ancora una volta controllati da persone che hanno le pistole e i manganelli proprio come il Libia.
In questo sbarco erano presenti tanti giovani libici con le valigie in mano proprio per evidenziare la necessità di fuggire da quel paese. Libici che hanno avuto la possibilità di entrare nel circuito di accoglienza, mentre per tunisini, marocchini ed egiziani il destino è stato il decreto di respingimento differito. Da sabato la stazione è popolata da uomini e donne che chiedono un aiuto immediato per dormire, per mangiare e per farsi una doccia, e il sostegno arriva solo dalle associazioni, nonostante il sindaco della città continui a rilasciare interviste dicendo che a Palermo nessuno è straniero e tutti sono palermitani. In stazione ci sono persone che arrivano anche da altre città, in particolare Trapani e Agrigento. Anche lì ci sono stati sbarchi, per lo più di tunisini. L’hotspot di Lampedusa è nuovamente pieno con 600 tunisini ammassati in una struttura inadeguata. Nell’hotspot di Trapani sono state trasferite 250 persone sbarcate a Palermo, più i tunisini arrivati direttamente sulla costa siciliana. Un ragazzo è arrivato a Palermo camminando sull’autostrada per poi svenire e collassarsi appena arrivato.
Anche Palermo avrà un hotspot, ristrutturando una delle caserme in città, e con una certa celerità visto che i lavori sono stati affidati ad una ditta di Roma attraverso l’agenzia Invitalia, con cui il Ministero dell’Interno ha stipulato una convenzione per tutti i lavori riguardanti tutti i centri governativi. Ci chiediamo se il sindaco Orlando chiederà che chi garantisce l’aspetto umano agli sbarchi potrà farlo anche nell’hotspot o se, come sempre, saranno soltanto slogan politici, e anche a Palermo come in altre città, si potrà militarizzare e nascondere ad occhi indiscreti gli abusi e le pratiche illegittime che vengono perpetrate quotidianamente a scapito di gente indifesa e vulnerabile.
E la confusione regna sovrana anche a causa della fine delle relocation: anche famiglie intere di siriani dovranno essere trasferite nei CAS, e se non saranno disponibili posti per famiglie continueranno a dividerli: dove non è riuscita la guerra riuscirà la politica. Purtroppo queste persone avrebbero dovuto decidere di partire almeno due settimane prima, quando ancora la possibilità di essere rilocati era un’opzione, lunga e farraginosa, ma pur sempre un’opzione che oggi non hanno.
Alla stazione abbiamo incontrato anche alcuni ragazzi che stanno nei centri per minori di Palermo, che sottolineano come la confusione regni anche fra loro che sono arrivati da tempo perché non sono sostenuti da nessuno, se non da qualche operatore di buona volontà o da qualche volontario. Ragazzi che consigliano ai nuovi arrivati di andare oltre perché “altrimenti andate in un centro sperduto nei boschi e lì sarete abbandonati”. A., gambiano di 16 anni, continua il suo sfogo rivolgendosi a noi: “Il mio centro è a un’ora e mezza a piedi dal paese. Tutto il giorno stiamo lì perché non ci portano mai via di là. Non ci sono i soldi per una macchina da più di un anno”.
In questo stato di confusione a pagare le conseguenze sono sempre loro, le donne e gli uomini impoveriti da questo sistema economico, che muoiono di viaggio o che noi disperdiamo sul territorio rendendoli in qualche modo schiavi della nostra avidità e allo stesso tempo delle nostre paure.
La prefettura di Palermo ha pubblicato un avviso esplorativo per la ricerca di operatori economici interessati a partecipare alla procedura negoziata per la fornitura di biglietti di viaggio e trasporto di cittadini stranieri colpiti da provvedimenti di espulsione, creando i presupposti per agevolare gli allontanamenti diretti dalla nostra città. Ci sono tutte le premesse per non aspettarci niente di buono per il futuro.
Redazione Borderline Sicilia