Navi quarantena: l’impero del mare di GNV

Mi è capitato di salire come passeggero su una nave della compagnia GNV recentemente. Non è una cosa rara, si potrebbe dire, visto che queste navi spostano turisti da una costa all’altra d’Italia soprattutto in estate. Diventa però un’esperienza diversa dopo aver vissuto qualche mese in Sicilia, e aver scoperto le proporzioni della complicità che l’azienda ha con lo stato italiano nel confinare per settimane in mezzo al mare le persone che arrivano in Italia attraverso il Canale di Sicilia.

 

Provo sensazioni diverse e contrastanti salendo sulla GNV Aries che mi riporterà in Sicilia: rabbia, perché non vorrei contribuire all’attività economica di chi offre supporto logistico a pratiche illegittime e discriminatorie; curiosità, perché penso sia importante farsi un’idea di come siano fatte queste navi, dei loro spazi, dei dispositivi e delle tecnologie utilizzate; consapevolezza, che contrasta con l’ ignorante tranquillità con cui centinaia di persone si affollano tra le cabine e il ponte di questa imbarcazione all’apparenza comoda e innocente.

 

L’incontro

“Qui non potete stare”. È così che inizia l’incontro, con un marinaio che chiede a me e ad un altro passeggero di andarcene da quella che allo stesso tempo è l’area cani, l’unica area all’aperto per l’equipaggio e l’unica zona in cui ci sono dei tavoli in tutto il piccolo spazio esterno della nave.

Dopo alcune battute convinciamo il marinaio a farci rimanere ed il passeggero di fianco a me commenta: “Questa nave  è una bagnarola, paghiamo per non aver neanche mezzo servizio”.

In pochi minuti scopriamo che l’Aries, così come l’Antares – nave già impegnata per la quarantena delle persone migranti in Sicilia – è stata acquistata non più di due mesi fa dalla famiglia di armatori Aponte, proprietaria di GNV ma soprattutto di MSC, la più grossa compagnia merci al mondo (e anche delle crociere).

L’Aries e l’Antares sono state acquistate da delle compagnie del Nord Europa. Sono navi abituate a solcare mari molto diversi e infatti il marinaio si lamenta: “Dove lavoro io ci sono 50 gradi. Queste navi sono abituate a solcare mari gelidi e quindi il motore si raffredda velocemente. Ma nel nostro mare caldo, questo non succede. Sono qui da un mese e ho perso cinque chili, non ci salirò mai più. Anche perché, quando finisco il turno, l’unico spazio all’aperto che ho è pieno di merda e piscio di cane, e dentro, nella mia stanza, c’è solo la luce al neon. Così finisce che nelle pause non faccio altro che sdraiarmi sul letto e accendere la tv”.

Il passeggero di fianco a me aggiunge: “Non che per noi passeggeri sia meglio. Questa nave è piccolissima, ci sono pochissimi spazi e servizi, ma i prezzi non sono più bassi che su altre navi”. Il marinaio annuisce e se ne va. Incuriosito, provo a fare qualche domanda sulle navi quarantena a questo passeggero, ma l’unica cosa che mi sa dire è che si tratta di “un giro di soldi pazzesco”.

 

Gli affari

Mentre cammino tra i ponti della Aries, nave con un’alta infrastruttura tecnologica e soprattutto un ampio parco di telecamere sparse in diversi angoli della nave, faccio una rapida ricerca su internet per capirne di più sulla famiglia Aponte. Ed effettivamente, il giro d’affari di questa famiglia è immenso: basti pensare che da qualche giorno MSC guidata dagli Aponte è diventata la più grossa flotta di trasporto via mare di container.

Un colosso della logistica, settore che nell’ultimo decennio è diventato l’infrastruttura portante dell’economia globale e che ha portato a una progressiva “urbanizzazione” del mare. Nel 2020, il 41% dei container imbarcati e sbarcati nei porti italiani sono passati attraverso i terminal controllati da MSC. Sì, perché, oltre a possedere navi e a trasportare merci, la compagnia controlla anche diversi porti o fette di porti italiani: Gioia Tauro per intero, Genova, Napoli, Palermo e Catania in grosse fette.

Di fronte a un impero del mare di così grosse dimensioni, poco importa che MSC Crociere – la più grossa compagnia crocieristica privata del mondo – nell’anno del Covid abbia avuto perdite per quasi un miliardo di euro. In questo contesto, il “business” delle navi quarantena ha fruttato cifre molto più moderate – a Marzo 2021 si parlava di “solo” 34 milioni -, ma che sono state fondamentali per mantenere in piedi questo pezzo di impero che altrimenti sarebbe sprofondato a causa del Covid-19.

Lo stato italiano e le sue pratiche di confinamento igienico-sanitario a sfondo razziale hanno quindi evitato all’armatore di dover mettere mano al portafoglio e, anzi, le hanno permesso di pensare ad investimenti sul medio-lungo termine, come l’acquisto dell’Aries e dell’Antares. Infatti, non appena ho visto la struttura della nave dal molo del porto, ho pensato che era un’imbarcazione perfetta per il confinamento di persone: compatta e con pochissimi spazi all’aperto. Una volta a bordo, viste le telecamere e i pochissimi spazi condivisi, quest’idea si è rinforzata. Insomma, per gli Aponte un’ottima mossa per aumentare il profitto durante la stagione turistica, ma perché no anche per offrire i servigi della nave al miglior offerente, come il governo italiano.

 

Il container come paradigma, il corpo come merce

Quello che forse mi ha più colpito di questa vicenda è che ho trovato una prima risposta empirica ad una serie di domande che mi facevo da tempo. C’è uno strettissimo legame tra il sistema economico globale contemporaneo – e i suoi attori principali, come gli Aponte – e il governo necropolitico delle migrazioni, e il container diventa l’elemento materiale e metaforico intorno a cui questa connessione si articola.

Il container solca i mari a bordo di immensi cargo, “colora” i porti di tutto il mondo prima che le merci al suo interno vengano smistate. Il container è il simbolo di un commercio che si basa su digitalizzazione, controllo e sfruttamento del lavoro, che si muove nel silenzio e punta a silenziare le voci che ne mettono in dubbio la sostenibilità economica, sociale e ambientale.

Allo stesso tempo, però, il container è la prima struttura messa in campo nelle situazioni di “emergenza”: negli hotspot, nei Cpr, nei campi istituzionali dei braccianti – come a Cassibile -,  sui moli di attracco delle navi quarantena, ai valichi di confine intra-europei – come a Ventimiglia -, il container è il simbolo dell’infinito movimento attraverso cui i corpi delle persone migranti vengono gestiti fino a che, disorientati, non diventano corpi precari e marginalizzati che verranno sfruttati proprio in quei settori dove i grossi affari di questi imprenditori si articolano, nei porti, nella logistica, e in tutte quelle nicchie di mercato dove la produzione riesce ad andare avanti solo se il costo del lavoro è basso e la forza lavoro ricattabile.

Guardando le migrazioni attraverso il container si riesce a vedere come il corpo migrante sia considerato una merce da controllare e catalogare attraverso sofisticati sistemi digitali e militari, che può essere respinto o utilizzato come moneta di scambio.

Aponte è l’imperatore del mare, le sue navi e i suoi container indirizzano la vita di miliardi di persone, sono infrastruttura del capitalismo contemporaneo; le sue navi, i suoi container e il “suo” capitalismo decidono però anche della vita e della morte di decine di migliaia di persone da un anno e mezzo a questa parte.

A tutto questo, noi e le persone che migrano opponiamo resistenza.

 

Emilio Caja 

Borderline Sicilia