Madi, Houssein e gli altri senza nome

In questo periodo non si contano più le richieste di aiuto da parte di persone migranti che hanno perso tutto e che vengono sempre più condannate dal sistema politico-istituzionale ad uno schiavismo e a un’invisibilità che li distrugge fisicamente e psicologicamente.

Abusi su abusi che si ripetono senza sosta e che spesso hanno come conseguenza anche la morte. Noi proviamo a mantenere alta l’attenzione ma ultimamente  è ancora più difficile a causa degli ostacoli che il Covid-19 ha posto, agevolando di fatto la chiusura istituzionale e gli abusi che si perpetuano nei vari tipi di centri e nelle questure siciliane.

Il termine abuso è quello che pensiamo sia più consono osservando gli assembramenti di fronte alle questure: immagini che stridono con il periodo che stiamo vivendo, ma che sono inaccettabili in qualsiasi momento, a prescindere dall’attuale pandemia. All’interno della questura di Palermo ci sono spazi enormi, ma fino ad oggi nessun questore ha mai pensato che sia indecente trattare esseri umani come bestie che si accalcano per ore sotto il sole o la pioggia, in attesa di una risposta, che spesso neanche arriva. Queste stesse dinamiche di abuso per gli impoveriti e gli invisibili si ripetono quotidianamente in tutti i contesti in cui vivono, umiliati e lasciati soli. Il Covid-19 ha peggiorato una situazione già inaccettabile e ha causato ancor più “disumanità”.

Madi è solo una delle ultime vittime di questo sistema che tende a cancellare le persone. Arrivato in Italia nel 2016, è stato subito confinato nel mega CARA di Mineo, che negli anni della sua gestione ha fatto arricchire vari personaggi affiliati ad ambienti politici e della criminalità organizzata, molti dei quali ancora oggi, nonostante vari processi, sono all’interno di cooperative coinvolte nell’accoglienza. Nel 2019 – dopo il diniego della protezione internazionale ed il ricorso presentato da un avvocato di Roma (come moltissimi altri richiedenti asilo collocati a Mineo) – è stato trasferito a seguito della chiusura del CARA, presso il CAS Bellolampo a Palermo.

Il suo trasferimento non è stato accompagnato da alcuna relazione relativa alla sua salute fisica e mentale o alla sua condizione sociale, come se a Mineo Madi non fosse mai esistito. Sin da subito ha mostrato delle difficoltà soprattutto di natura psichica con molti up e down. Gli operatori del centro hanno cercato di capirlo e sostenerlo ma i CAS non sono strutture adeguate all’accoglienza, tanto più quando si tratta di persone con disagi e problematiche legate ad una forma di vulnerabilità. Alla fine del 2019, Madi ha deciso di lasciare di sua spontanea volontà la struttura, nonostante gli operatori presenti abbiano cercato di dissuaderlo. L’ultimo contatto con un’operatrice del centro risale a gennaio 2020, quando era arrivato in Germania, probabilmente con l’aiuto di qualcuno che ha approfittato delle sue difficoltà.

Da quel momento la sua vita è un buco nero. Nessuno – neanche parenti che vivono a Palermo – sa cosa abbia fatto Madi, dove abbia vissuto, fino alla mattina del 3 maggio scorso. Quel giorno, solo per caso, un’operatrice del CAS ha dovuto effettuare il riconoscimento del corpo di un ragazzo trovato impiccato nelle campagne di Bellolampo. “Da lontano vedo un corpo pendere da un albero… Mi avvicino, riconosco le mani, ma non sono certa che sia lui… Mi avvicino, vedo il lato destro del volto: è Madi. Il corpo del ragazzo si trovava a 10 km dal centro che fino ad ottobre 2019 lo ospitava. Resto lì con la polizia, il commissario, il personale del 118… Non ricordo quante ore sono stata lì, sotto la pioggia con il cadavere del ragazzo che pendeva da questo albero. Se non l’avessi riconosciuto io quella mattina, chissà se avessimo mai saputo della sua morte”.

Madi è morto senza avere avuto una risposta dalla giustizia italiana rispetto al suo ricorso, senza un adeguato supporto legale e psicologico. Madi è morto solo, in una solitudine voluta e organizzata dalla politica.

Le vittime di questo sistema sono quotidiane, non fanno più alcun rumore. Siamo talmente assuefatti che se muoiono quattro neri in un incidente stradale non ci poniamo neanche la domanda: sono figli, mariti, fratelli di qualcuno? I loro familiari lo sapranno mai?

Il sistema li cancella, solo qualche trafiletto per non pensare e ragionare sul fatto che queste persone devono vivere per la nostra economia, di cui la loro morte è solo un trascurabile effetto collaterale. Noi a questi morti invece diamo un nome, perché sappiamo che dietro le morti in mare, le morti sul lavoro, le morti di stenti e precarietà, ci sono responsabilità precise, dalle più alte cariche istituzionali, passando per i sindacati, per arrivare ad ognuno di noi quando ci giriamo dall’altra parte.

Il mare restituisce i corpi anche di chi era arrivato in Italia tempo fa, come un nigeriano ancora senza nome, trovato nei giorni scorsi nelle acque di Fontane Bianche a Siracusa.

Un ragazzo invisibile che per sopravvivere chiedeva l’elemosina e abitava in una piccola tenda nei pressi della spiaggia dove è stato ritrovato. Un senza nome invisibile, un altro, che anche in questo caso deve sparire velocemente dalla cronaca perché la stagione estiva sta per cominciare e Fontane Bianche è un luogo turistico.

Altre morti di questo sistema criminale sono quelle che continuano all’interno dei CPR o alle frontiere. Per non parlare della guerra alle navi delle ONG fermate con pretesti poco fondati, che la dicono tutta sulla politica che vuole eliminare il soccorso in mare.

Qualche giorno fa era stato fatto un timido accenno dal governo all’eventualità che il sistema delle navi quarantena venisse smantellato, ma al momento nulla si è mosso in questa direzione. Nonostante le dichiarazioni ufficiali sul fatto che i minori non accompagnati non vengano collocati a bordo, se ne registra invece la presenza, forse perché nell’hotspot di Lampedusa non si fa nessuna informativa, e quindi solo sulla nave si capisce l’età dei ragazzi. Ma una volta sulla nave, si può scendere solo dopo la quarantena ed un tampone. Nell’ultimo mese varie cooperative che accolgono MSNA sono andate nei porti siciliani per prelevare i minori che si trovavano a bordo e portarli nelle strutture, come nel caso dello sbarco della nave Azzurra a Catania di due settimane fa.

E che le navi quarantena siano una prassi illegittima, discriminatoria e lesiva dei diritti delle persone, lo abbiamo visto anche con il caso di Houssein, un ragazzo che è salito a bordo della nave quarantena Allegra il 6 aprile scorso e subito dopo è risultato negativo al tampone rapido. Il 15 aprile invece è risultato positivo al tampone effettuato in vista dello sbarco, e quindi ha cominciato nuovamente il periodo di quarantena. Houssein è un ragazzo che soffre di gravi disturbi psichici e nessuno sulla nave si è reso conto delle sue problematiche, neanche al triage iniziale.

Il personale medico della Croce Rossa se ne è accorto solo dopo la segnalazione di un amico che ha parlato con un mediatore. A quel punto i medici presenti sulla nave hanno appurato che Houssein presenta una grave distrofia unguale di 8 dita su 10 delle mani dovute alle torture subite in Libia, di cui porta i segni anche sul resto del corpo, ma che soprattutto soffre di una vulnerabilità psichica dovuta anche alla drammaticità di quelle violenze. Inoltre, non ha più notizie della sua fidanzata che davanti a lui è stata stuprata più volte dai sicari libici. Houssein è stato dichiarato vulnerabile in codice rosso per shock e traumatizzazione vicaria solo dopo 2 settimane dal suo arrivo a bordo.

Il 24 aprile è stato sottoposto a tampone in previsione dello sbarco del 26 aprile, ma è risultato nuovamente positivo ed è stato posto in isolamento per fare il terzo ciclo di quarantena, ma da solo, visto che i suoi compagni sono risultati negativi. Houssein, allora, è andato in escandescenza, sapendo di rimanere solo sulla nave, e ha detto apertamente che l’avrebbe fatta finita, perché abbandonato da tutti. Solo a seguito di pressioni arrivate da più parti, è stato disposto il ricovero presso il reparto di psichiatria di un ospedale di Catania.

In queste poche righe si affollano morti evitabili e che da troppi anni siamo costretti a raccontare per denunciare la violenza istituzionale e sistemica che vi sta dietro. Bisogna continuare a farlo e non abbassare la guardia per la difesa dei diritti, perché mai più nessuno debba morire solo in fondo al mare o senza nome.

E per l’ennesima volta chiediamo scusa a Madi, Houssein e ai tanti invisibili, vittime di un sistema ingiusto e criminale.

 

Alberto Biondo

Borderline Sicilia