La mattanza silenziosa dei diritti umani
Negli ultimi giorni si è registrato un aumento delle partenze dalla Libia e dalla Tunisia, alcune persone sono arrivate a Lampedusa e sulle coste siciliane, altre sono state catturate e riconsegnate ai libici, altre ancora sono morte in mare.
E, proprio in concomitanza delle partenze, abbiamo ricevuto diverse richieste di aiuto da parte di familiari di persone disperse in mare. Richieste che si susseguono da anni, sempre cariche di disperazione per non aver ricevuto notizie dei propri cari dopo le richieste di soccorso.
Stragi che non fanno più notizia
Le notizie dei naufragi in mare sono relegate su pochi media, in spazi sempre più ridotti. Pochissimi raccontano le continue stragi nel Mediterraneo, le cui cause sono sempre le politiche migratorie di quest’Europa interessata solo a blindare i propri confini.
Su alcune notizie viene tenuto il silenzio più assoluto, come il probabile naufragio avvenuto lo scorso weekend vicino Pantelleria, a seguito del quale ci sarebbero almeno quattro dispersi. I familiari ci riferiscono di una partenza avvenuta dalle coste tunisine, ma in Sicilia risulta giunto vivo soltanto un uomo che è stato per dodici ore in acqua, vicino alle coste pantesche. Ora, dovrebbe trovarsi all’ospedale di Trapani in stato di choc, anche se la notizia non è stata confermata dalle autorità.
“Dove sono finiti i miei nipoti?”, ci chiede angosciata una zia al telefono, e noi ci chiediamo perché questo silenzio. I nomi dei quattro ragazzi dispersi, e purtroppo quasi sicuramente morti, sono: Adel, Jasme, Ayoub e Mamoune.
Abusi e violazioni nella navi quarantena
Le altre richieste di aiuto di questi giorni provengono dai contatti dei tunisini trattenuti a bordo della nave Allegra ormeggiata sulla banchina Todaro di Porto Empedocle. Grazie alle telefonate di parenti siamo venuti a conoscenza dei tentativi di fuga e delle proteste a bordo e dell’intervento delle forze dell’ordine.
Una ragazza in contatto con il proprio fidanzato tunisino a bordo, lo ascoltava piangere e chiedere aiuto dopo avere, per esasperazione, inghiottito una lametta.
Tutto è esploso la sera di lunedì con la fuga, da quello che riferiscono alcuni ragazzi a bordo, di 4 o 5 tunisini dalla nave, a cui è seguita una forte azione repressiva da parte della polizia verso i tunisini. Nel pomeriggio di martedì, invece, il tentativo di un’altra fuga è stato bloccato dalla polizia, ed è stato seguito da atti di autolesionismo. Le richieste dei ragazzi sono chiare: “Siamo stati 3 giorni a Lampedusa, poi ci hanno messo dentro la nave. Da dieci giorni siamo qui e chiediamo spiegazioni ma nessuno ci da una risposta, nessuno ci dice per quanto, nessuno ci dice se ci devono riportare in Tunisia, niente di niente”.
A Porto Empedocle anche la scorsa settimana ci sono stati disagi: le persone appena sbarcate, con i vestiti bagnati fradici, sono rimaste per più di 10 ore nella tensostrutture del porto – donne e minori compresi – e solo a notte fonda sono stati trasferiti nei centri Covid, in condizioni di promiscuità. La situazione proprio per i minori è drammatica, visto che arrivano, sempre più piccoli e soli, bambini in tenerissima età.
Un dramma senza fine, e noi continuiamo ad essere impreparati e a lasciare tutto alla buona volontà dell’operatore di turno.
I governi cambiano ma nessun passo avanti viene fatto nella direzione della tutela dei diritti delle persone migranti, di cui ormai nemmeno i naufragi meritano un trafiletto su un giornale.
Alberto Biondo
Borderline Sicilia