Scomparire tra i grandi numeri
Sono giunti questa notte al porto di Catania, i superstiti dell’immane tragedia di questi giorni.950 i dispersi a cui si sommano nuove vittime del naufragioavvenuto nel mar Egeo questa notte,e ad altri dispersi al largo delle coste libiche. Le cifre
mostruose delle recenti tragedie annunciate lasciano senza parole chi da mesi
ed anni di discorsi e false promesse ne ha sentite fin troppe. Ma proprio
l’ipocrisia e l’opportunismo delle retoriche ufficiali, rende inevitabile il
dar voce alle testimonianze di chi da una profondità storica alle notizie
sensazionali del momento.
Dinanzi ai grandi numeri si mette in moto la stampa
di tutto il mondo, e ogni rappresentante istituzionale si sente, giustamente,
chiamato in causa e nella maggior parte dei casi quasi costretto a lanciare
suggerimenti e proposte spesso improvvisate, per attutire l’impatto di
situazioni così drammatiche. I recenti e sempre più frequenti naufragi hanno
portato ultimamente anche al diffondersi di racconti e testimonianze sulle
condizioni di partenza dei migranti, soprattutto nei campi di raccolta libici.
Un importante passo indietro, che ha il merito di dare una visione geopolitica
più realistica dell’attuale fenomeno migratorio, e che può finalmente
connettersi a ciò che migranti ed attivisti denunciano da anni.
La stessa cosa vale per le descrizioni dei viaggi in mare.
Nel luglio scorso furono ben 49 i migranti che persero la vita intrappolati
nella stiva di un imbarcazione, e da allora sembra che la distinzione tra i
viaggiatori di prima, seconda e terza classe non sia mai venuta meno, con
profughi che narrano le esperienze più atroci vissuti al momento dell’imbarco.
“A me e agli altri Gambiani hanno legato braccia e gambe con i nostri vestiti,
così nella stiva poteva salire più gente. Non potevo neanche pulirmi dal vomito
e faticavo a trovare uno spazio per respirare. Altri Nigeriani sulla mia barca
sono stati legati perché agli scafisti sembravano troppo “agitati” , e
pensavano che potevano creare dei problemi. Se la barca si ferma e non arrivano
i soccorsi, a bordo si può scatenare l’inferno e in parecchi cercano di
gettarsi direttamente in mare per farla finita. Io sono stato fortunato, la mia
barca ha incrociato un mercantile e il mio viaggio è durato solo 16 ore. Di
sicuro non sarebbe stato lo stesso se avessimo dovuto attendere la Guardia
Costiera”. A parlare è L, arrivato in Italia due mesi fa. Come il suo,
centinaia di altri racconti ci permettono di avere almeno una vaga idea di
quello che significa una traversata su un barcone. La sopravvivenza è legata al
caso, e per la maggior parte dei migranti subsahriani, eritrei, sudanesi,
pakistani, bengalesi, anche il viaggio che precede l’arrivo a questo momento
può finire nel peggiore dei modi da un momento all’altro. Storie che scompaiono
però dalla cronaca, focalizzata invece su notizie più “eclatanti”, come la
presunta disputa tra musulmani e cristiani in mare.
Ma nel gioco dei grandi numeri è facile scomparire. Anche una
volta arrivati sulla terraferma, visto che l’accoglienza “organizzata” ancora e
ingiustificabilmente sulla scorta dell’emergenza, prevede per lo più il
trasferimento dei migranti in centri già sovraffollati e per lo più in
territorio siciliano. Continuano infatti i nuovi arrivi e i trasferimenti verso
il Pala Nebiolo e pure l’ex caserma Bisconti a Messina; nuovi arrivi portati
anche al Cara di Salinagrande e a Pian del Lago, altri smistati in Cas di
recente apertura e dubbia sostenibilità nel siracusano. Una presa di posizione
ferma da parte della prefettura di Ragusa ha evitato solo alcuni giorni fa il
concentramento prolungato di quasi 500 migranti al CPSA di Pozzallo. Decisione
che ha comportato una lunga notte di attesa fuori dal porto di 300 migranti che
hanno dovuto attendere il parziale trasferimento di chi occupava il centropoche ore prima,mentre ora, con gli ultimi
trasferimenti e i nuovi arrivi di domenica, la situazione sembra essersi
stabilizzata sulle 150 presenze. L’opzione dei grandi
assembramenti e il prevalere di logiche
“economiche” e non di tutela dei migranti, è però palese nei continui
trasferimenti dei nuovi arrivati al Cara di Mineo. E’ scandalosa la decisione
di destinare al Cara i superstiti del naufragio di sabato, proprio nel momento
in cui la procura rende note le indagini su una presunta rete internazionale ditrafficanti, sospettati di essere fra gli “organizzatori” anche del viaggio
conclusosi in tragedia, che avrebbe delle basi logistiche proprio all’interno
del campo.
Migranti destinati, con molta probabilità, a diventare un
numero fra le migliaia o le centinaia di ospiti che riuniscono i grandi centri,
dove la tutela individuale prevista e affermata con forza da ogni legge diventa
un lusso o un privilegio per pochi. I grandi numeri infatti abbagliano, fanno
il gioco di chi si appella facilmente all’emergenza, e soprattutto nascondono
violazioni dei diritti fondamentali, come l’assistenza medica, psicologica,
legale e sociale individuale e personalizzata, di migranti tenuti per anni in
attesa di una risposta in queste condizioni. Per non parlare poi della
possibilità di costruirsi un nuovo percorso di vita o integrarsi nella società
di arrivo: un altro punto tra i diritti e i doveri spettanti ad ogni persona, e
sponsorizzati da alcuni gestori dell’”accoglienza”, che risulta totalmente in
contraddizione già con la posizione e la struttura degli stessi centri.
C’è quindi da fare un grande lavoro, ora difficile più che
mai, per non lasciare che davanti a tragedie sempre più grandi rimanga ancora
più alto il rischio di puntare lo sguardo solo sulle grandi cifre, che si
riferiscano alle persone, o allo spostamento di soldi che alcune logiche di
dubbio soccorso e accoglienza mettono in moto. E recuperare l’umanità celata
dietro ai numeri, per riuscire a reagire.
Lucia Borghi- Borderline Sicilia Onlus