Lampedusa: io ci sono, io vedo, io so
Lampedusa, Agrigento (NEV), 2 settembre 2015 – Mediterranean Hope (MH), progetto della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), trae il primo bilancio dopo più di un anno di lavoro. Lo ha fatto pubblicamente durante il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, dove quest’anno il tema delle migrazioni è stato trattato con attenzione in diversi momenti sinodali ed extra sinodali. Durante la serata pubblica le attività di MH sono state raccontate da Marta Bernardini, operatrice a Lampedusa.
L’Europa comincia o finisce a Lampedusa? Questa ambivalenza della frontiera è uno dei punti centrali su cui MH ha riflettuto lungamente, cercando di analizzare il fenomeno migratorio in atto, come un evento epocale che segnerà a lungo la cultura del vecchio continente. Lampedusa è diventata un simbolo. Oggi vivere e lavorare in questo luogo è importante. Lampedusa è diventata un simbolo perché è stata costruita per esserlo; costruita mediaticamente e politicamente. Lampedusa è sempre stata un’isola di salvezza, un luogo sicuro di arrivo per ristorarsi prima di rimettersi in viaggio. E’ sempre stata un luogo di approdo, a partire dagli anni ’90 quando i lampedusani accoglievano chi arrivava dal mare con spontaneità e senza clamore. Tutto questo ha trasformato Lampedusa in un luogo di confine, di frontiera, dove arrivano gli ultimi del nostro tempo. Una frontiera che l’Europa sta cercando sempre più di esternalizzare, di spostare ancora più lontano dai nostri occhi, in quei paesi da dove si scappa per violenze, persecuzioni e assenza di ogni tipo di diritto. E’ difficile quindi affermare che l’Europa cominci a Lampedusa.
L’Europa invece comincia in tutti quei paesi impoveriti dal nostro continente perché depredati delle loro risorse, dove dittature e governi che annullano la dignità delle persone sono appoggiati dai governi europei. L’Europa dovrebbe iniziare proprio da quei paesi in guerra, offrendo alle loro popolazioni vie legali e sicure di arrivo nel nostro continente, per esempio attraverso le ambasciate, costituendo dei canali umanitari.
Le persone che arrivano accompagnate dalla Guardia Costiera dopo essere state salvate in mare hanno volti stanchi ma pieni di speranza. In alcuni casi sono invece sguardi vuoti perché sotto shock. Perché come unica scelta hanno preso una barca, o peggio, un gommone precario per raggiungere un’idea di salvezza e libertà. Persone che a volte sopravvivono al deserto, al soffocamento nelle stive, ai naufragi ma non possono più dimenticare, non possono più togliersi dalla pelle, dagli occhi queste esperienze. Così come non si tolgono i segni della frontiera. Noi le persone che arrivano le salviamo in mare se riusciamo, perché sarebbe troppo grave non farlo. Ma poi diventano presenze scomode, che vengono accolte nei nostri moli con luci abbaglianti, guanti e mascherine come se arrivassero gli “infetti” di un mondo che non vogliamo vedere. Poi li rinchiudiamo in centri di accoglienza ermetici, come fossero criminali. Se l’Europa comincia a Lampedusa allora io mi vergogno. Mi vergogno perché l’Europa muore nel mar Mediterraneo. Perché ogni persona che perde la vita è anche nostra responsabilità. Perché se siamo orgogliosi di un’Europa costruita per difendere e garantire i diritti di tutti gli esseri umani noi, ogni giorno, violiamo i diritti di intere popolazioni che scappano. Non possiamo essere orgogliosi di diritti che valgono solo per noi, che siamo dalla parte ricca della frontiera.
A Lampedusa come operatori di MH non abbiamo incontrato semplicemente un’umanità, abbiamo fatto un’esperienza diretta del più grande fenomeno sociale del nostro tempo, quello di una umanità in cammino verso un futuro migliore. Ma questa umanità non arriva e si ferma solo a Lampedusa, arriva in tutte le nostre città, nelle nostre chiese, bussa alle nostre case sicure di cittadini e cittadine che abitano questa parte della frontiera, questa umanità ci interpella come credenti. E noi non potremo dire che non c’eravamo, che non abbiamo visto, che non sapevamo, io ci sono, io vedo, io so… non mi sento orgogliosa di vivere su quest’isola. Mi sento fortunata. Perché essere qui mi permette ogni giorno di scegliere di stare dalla parte giusta.
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