Comunicato Stampa: Sulla protesta dei migranti eritrei a Lampedusa
Per alcuni giorni
a Lampedusa centinaia di migranti hanno manifestato per le strade dell’isola. Le
proteste pacifiche avevano come obiettivo il rifiuto di chiedere asilo politico
in Italia per non essere costretti a rimanere in questo Paese. Il loro slogan
“No finger prints” si riferiva alla procedura di identificazione delle persone
che entrano nell’area Schengen attraverso la presa delle impronte digitali. Secondo
il regolamento europeo Dublino II, i migranti che vogliono chiedere asilo in Europa sono
obbligati a fare richiesta nel primo paese in cui arrivano. Informati dai loro
amici e familiari dell’aggravarsi della condizione dell’accoglienza in Italia e
della situazione economica del Paese, i migranti chiedono di poter presentare
la domanda d’asilo in un altro stato, in particolare Norvegia, Svezia o Gran
Bretagna.
In Italia i migranti sono consapevoli delle deplorevoli
condizioni d’accoglienza, delle scarse possibilità di trovare lavoro, di
accedere al sistema educativo e, dunque, della difficoltà di vivere
dignitosamente. Provenienti dall’Africa Sub-Sahariana e principalmente
dall’Eritrea, queste donne e uomini hanno attraversato il Sudan e la tragedia
del deserto prima di arrivare in Libia, dove dilaga il razzismo contro i
migranti e dove non c’è alcuna garanzia di tutela dei diritti umani (come
riferito dal rapporto di Missione FIDH, Migreurop, e JSFM).
Non hanno avuto nessun’altra scelta che affrontare il mare
per raggiungere l’Europa, affinché gli fosse riconosciuto lo status di
rifugiati politici per avere diritti, sicurezza e dignità. Le capacità di
accoglienza dei centri italiani sono al momento sature. Sabato 20 luglio nel
Centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa erano rinchiuse circa 950
persone, mentre la capacità ricettiva di questa struttura sarebbe di soli 350
posti.
In mancanza di disposizioni chiare riguardo la durata dei
tempi di trattenimento-detenzione
all’interno dei centri d’accoglienza, questi risultano
gestiti in maniera totalmente arbitraria e molto spesso i tempi si prolungano
indefinitamente.Alcuni di questi migranti, infatti, erano sull’isola da
circa tre settimane, in attesa di un trasferimento verso altre strutture sulla
terraferma. Sabato la manifestazione è terminata nella piazza antistante la
chiesa del paese, dove i migranti hanno officiato un lungo rito religioso
all’aperto. Sono stati subito raggiunti dagli organizzatori, dai volontari e
dal pubblico del Lampedusa in Festival, oltre che dai rappresentanti delle
istituzioni civili e religiose.
I manifestanti hanno parlato a lungo con un rappresentante
della polizia che ha chiesto loro di tornare nel centro con la promessa che il
giorno successivo sarebbero iniziati i trasferimenti, a cominciare dai nuclei
familiari con donne e bambini. I migranti, che hanno richiesto di essere
trasferiti tutti insieme, hanno deciso di rimanere a dormire in piazza rinunciando
ad acqua e cibo, garantiti solo a condizione che tornassero nel centro. Gli
operatori del progetto Praesidium (di cui fanno parte UNHCR, OIM, Croce rossa e
Save the children) non hanno potuto trovare una soluzione alternativa,
poiché la Prefettura, a cui compete la distribuzione del cibo, non ha dato
l’autorizzazione. A quel punto le associazioni presenti e alcuni cittadini
hanno provveduto a rifornire di acqua e frutta i migranti.
I militanti e le forze dell’ordine sono rimasti tutta la
notte nella piazza con i manifestanti. Il giorno seguente, a mezzogiorno, i
migranti hanno ripreso a protestare sotto il sole cocente e a digiuno, con un
corteo che ha attraversato il centro del paese e il porto per poi ritornare
davanti alla chiesa. Lo stesso giorno sono stati trasferiti dall’isola circa
200 persone, mentre ne arrivavano altre 200 intercettate dalla Guardia Costiera
al largo delle coste Libiche e trasferite nel centro d’accoglienza di
Lampedusa, già sovraccarico. Nel pomeriggio, dopo ulteriori negoziazioni con le
autorità locali civili e religiose, i manifestanti hanno deciso di interrompere
la protesta e di tornare nel centro, sentendosi rassicurati circa le loro
richieste.
L’associazione Askavusa denuncia:
- Lo stato d’eccezione e l’emergenza permanente come politiche
di gestione ordinaria delle migrazioni in Italia.
- La strumentalizzazione di Lampedusa come vetrina della
retorica dell’invasione e dello scontro culturale e la conseguente
legittimazione delle politiche repressive e di respingimento.
- La speculare retorica su Lampedusa come luogo di
sentimentale e indistinta accoglienza, incapace di un’analisi politica del
sistema europeo di gestione delle migrazioni.
- Le politiche europee di esternalizzazione delle frontiere
nei paesi del Sud, in particolare l’attuazione del programma EUROSUR.
- Il paradosso delle politiche di chiusura delle frontiere
che, se da un lato generano clandestinità utile a sostenere le fondamenta del
sistema economico globale, dall’altro identificano il migrante come
responsabile del fallimento di questo modello.
L’associazione Askavusa chiede e ribadisce con forza
l’importanza di un dibattito sui seguenti temi:
- il rispetto dell’equilibrio sociale ed economico della
comunità lampedusana e un ripensamento radicale del sistema d’accoglienza che
porti alla fine della detenzione dei migranti.
- la revisione del regolamento europeo Dublino II e del futuro
Dublino III, per una vera solidarietà e collaborazione tra gli stati membri al
fine di garantire realmente i diritti dei migranti.
- il ripensamento delle forme di gestione della mobilità di
tutti gli esseri umani che garantiscano il rispetto dei diritti e della dignità
e libertà personale.
Associazione Askavusa