Rifugiati e lavoro nero a Salinagrande. Il C.I.E di Milo? “Fa più paura del mare”
Finalmente una buona notizia da Salinagrande: dieci tra richiedenti asilo che vivevano all’addiaccio nei pressi del locale C.A.R.A. sono stati finalmente accolti all’interno della struttura e possono quantomeno beneficiare di una minima assistenza. Molti però sono quelli che ancora si arrangiano tra gli innumerevoli edifici abbandonati della zona, in condizioni igienico-sanitarie pessime. Non sappiamo esattamente quanti, ce ne risultano almeno una decina, ma potrebbero essere molti di più stando alle testimonianze di alcuni locali che hanno assistito alle fughe dall’interno del C.A.R.A., quando i migranti che entrano di nascosto per mangiare o passare una notte al caldo vengono scoperti dalla polizia.Vive ancora all’addiaccio il richiedente asilo pachistano con problemi di salute che abbiamo conosciuto alla nostra prima visita. Non avendo trovato ospitalità né al C.A.R.A., né allo S.P.R.A.R., né alla Caritas, ha vissuto per cinque mesi lungo le rotaie della vicina linea ferroviaria. Adesso si è spostato in un edificio abbandonato di fronte al C.A.R.A, e ci porta a vedere la sua nuova sistemazione, sicuramente preferibile alla prima, in un luogo meno umido ed esposto, ma assolutamente non sicura. Si tratta di un edificio a due piani con scala esterna e balconi privi di parapetto, evidentemente pericolanti. Non ci sono porte né finestre, qualche scritta in arabo sui muri. Ci mostra il luogo in cui accende il fuoco per riscaldarsi o per cucinare qualcosa che riesce a racimolare (attorno resti di scatolame e bottiglie). Proprio lì accanto c’è una cisterna in amianto dismessa, lesionata su di un lato. C’è amianto anche sui tetti degli edifici circostanti, probabilmente degli ex-capannoni industriali.
Gli chiediamo se si è procurato le medicine prescrittegli dal locale Pronto Soccorso. Risposta negativa. Lo avevamo indirizzato alla Caritas, ma a quanto pare non sono stati in grado di aiutarlo. Conoscendo la nuova circolare che rende esplicita la gratuità dei farmaci per i richiedenti asilo, contattiamo per lui i locali operatori di Emergency perché se ne occupino in nostra assenza.
Torniamo a Salinagrande dopo una settimana abbastanza calda. I migranti, in maggioranza tunisini, che hanno ricevuto i dinieghi, ora in scadenza, ci hanno chiamato continuamente, in cerca di aiuto, di informazioni, o anche solo di un sostegno psicologico. Hanno contatti col C.I.E. di Milo, dove recentissimamente si è svolta una protesta contro le durissime condizioni di detenzione, durante la quale diversi volte i migranti sono stati caricati dalle forze dell’ordine, e sono dovuti ricorrere alle cure mediche. Ora la protesta sembra essere rientrata ma le condizioni sono quelle di sempre: sovraffollamento, scarsa igiene, violenza, e scarsissima assistenza.
Mentre parliamo si avvicinano tre tunisini, due sulla ventina, uno sui cinquanta. Sono tra i pochi ad avere un permesso, sono arrivati a Febbraio dello scorso anno e, dopo una lunga attesa, lo scorso Novembre hanno ottenuto il permesso di sei mesi. Ora però il termine sta per scadere, i due ragazzi più giovani hanno cercato di convertirlo in un permesso di lavoro. Hanno trovato vari impieghi, ma nessuno è disposto a metterli in regola. Così ora temono di essere rimpatriati in Tunisia o peggio, di finire al C.I.E. di Milo “dove la gente vuole morire ed è meglio tornarsene a casa”. Uno di loro sostiene che il governo italiano renda appositamente durissime le condizioni di vita nei C.I.E., per dare ai migranti un deterrente a tornare, qualcosa che “fa più paura del mare”. Il più anziano invece ha un lavoro, e un datore che vorrebbe assumerlo, ma non ha una residenza valida per i documenti. Vive infatti anche lui in rifugi di fortuna, ogni tanto riesce a sgattaiolare nel C.A.R.A. per mangiare, dormire e lavarsi, ma non esistendo a Trapani la possibilità di dichiarare una residenza virtuale non può rinnovare il permesso, e quindi firmare il contratto. È condannato al lavoro nero dalla legge, lui come molti altri. I soldi non gli bastano per affittare una casa e comunque “qui nessuno vuole affittare ai tunisini”. Ci parla anche di un business sotterraneo abbastanza noto. Ci sono italiani che vendono, a prezzo salato, dichiarazioni di residenza, ma “in quelle case non ci puoi vivere”, è solo “una cosa di carta per il documento”.
Parliamo anche con due ragazzi del Gambia, che ci dicono di avere fatto domanda di asilo e ricevuto diniego, ma sperano nel buon esito del ricorso. Stare al C.A.R.A. per loro è comunque meglio che stare nel paese di provenienza, ma sono estenuati da un’attesa che dura da mesi. Vorrebbero muoversi, visitare l’Italia, cercare un lavoro, incontrare italiani e andare in Europa, ma non hanno ancora i documenti, non sono quasi mai usciti dal C.A.R.A. ed hanno paura di farlo. Sono qui da nove mesi e non sanno neanche dove si trovano di preciso in Italia.
Giorgia Listì e Valentina Caviglia