I parenti dei naufraghi tunisini: `Non crediamo a nessuna notizia se non al destino`
Da Terrelibere
TUNISI – “Dieci sarebbero arrivati in Sicilia secondo la Croce Rossa”. Oppure: “Ci han detto che la nave è a Malta”. C`è chi aspetta e si illude mensilmente da un anno e mezzo ad ogni voce o notizia del genere. C`è chi, una madre, che pur di far sposare uno dei figli in attesa del ritrovamento del fratello, sparge la voce di aver ricevuto la chiamata dal figlio scomparso dopo un anno e mezzo. C`è chi si allarma e spera solo da un mese. Ovvero dall`ultimo naufragio del 6 e 7 settembre al largo dell`isola di Lampione, poche miglia da Lampedusa.
Ma, in assenza di notizie ufficiali, rimane senza tregua e senza risultati l`attesa e la battaglia, personale o politica, per spegnere l`idea della morte nella mente delle famiglie dei dispersi. Che realisticamente bisogna chiamare morti, non dispersi. Morti senza nome e senza corpo. Perché di quelli ritrovati e di quelli soccorsi ancora nessuno ha fornito una lista ufficiali con i nomi. Tunisini, nordafricani, come sempre. Quattro corpi ritrovati, cinquantasei superstiti, settantasei dispersi. Che ormai è troppo tardi per cercarli tra i pesci. Nemmeno dell`imbarcazione si è trovata traccia. Ma le famiglie ci sono. E si chiedono se ci sia un cimitero a Lampedusa dove forse qualche loro fratello riposa.Martedì undici settembre la radio tunisina Mosaique FM diffonde una lista di sopravvissuti data per telefono da un tunisino che si trova a Lampedusa. Lo stesso giorno il Ministero degli Affari Esteri tunisino pubblica sul sito un documento delle autorità italiane (Questura di Agrigento) con i nomi e le foto delle persone soccorse dalle operazioni di salvataggio del 6 e 7 settembre. Le due liste non corrispondono esattamente e potrebbero esserci persone di imbarcazioni diverse.Intanto i tunisini soccorsi chiamano a casa e vengono interrogati. Si trovano sempre chiusi all`interno del centro di Lampedusa, impossibilitati ad uscire, hanno protestato sabato 6 ottobre ad un mese dalla tragedia, sulle colline al di sopra del centro, mentre ne arrivano la notte dopo altri centosessantasei.Tutti col rischio di essere espulsi o di passare in un centro di identificazione ed espulsione. Per avere giornate intere per rimembrare le immagini dei compagni di morte annegati al loro fianco.Ma Imad non ha ricevuto nessuna chiamata da suo fratello. Solo quella di un vicino di quartiere che l`avrebbe visto sparire nuotando. Allora da Amburgo si reca a Palermo per avere notizie e richiedere la ricerca dei corpi. L`altro fratello, Karim, è invece tornato in Tunisia, dalla madre e i genitori, a condividere un lutto non certificato. Loro fratello Bilal, che aveva tentato di raggiungere la Germania con un visto, ha preso la barca. Oggi a Ibn Sina, quartiere periferico di Tunisi, al lato dello slum Kabbariyya, quartiere madre dei dispersi in mare, la sorella mi chiede spiegazioni. Ma adesso basta speranza. Non bisogna credere a nessuna notizia, tranne a quella del destino. Che ha già dato la sentenza finale a Bilal, senza nessun altra udienza. In una delle immense periferie di Tunisi, trovo il coraggio di dire che non devono sperare affatto.Infatti, al Wardiyya sitta, Wardiyya sei, altra enclave al confine con Kabbariyya, ancora dal quattordici marzo 2011, si prosegue nella ricerca. Vado a prendere le fotocopie dei documenti di un “disperso” e la firma per il mandato dell`avvocato. Queste procure, da Tunisi periferia e da Sfax, dovrebbero poter avanzare nelle indagini. L`avvocato infatti potrebbe chiedere con questa nomina alla compagnia telefonica Tunisiana la localizzazione della chiamata di Ahmed quel quattordici marzo. Balzando da un quartiere all`altro, dalle sparizioni post-rivoluzione 2011, all`ultimo barcone andato male, per me è tutto chiaro. Da tanto. Radar, satelliti, navi da soccorsi, copertura GSM, guardie di costa. Tutti sono là e sanno. Non sanno forse cosa significa la fila alla municipalità di Tunisi dopo una giornata di lavoro per far autenticare la procura per l`avvocato per localizzare la chiamata di un fratello diciannove mesi prima. Non sanno cosa significa pane e fagioli o latte e digiuno, ma sanno come funzionano tutti gli aggeggi per monitorare e tenere sotto costante controllo il Canale di Sicilia.Eppure sono i cittadini a chiederlo, sono le mamme a piangere, sono i fratelli a spostarsi dalla Germania prendendosi settimane di ferie per domandare. Si chiama Irada in arabo, significa Volontà. Alle sedie comode di Roma e Tunisi manca. Sa dire sì prima delle elezioni e gettare fiori in mare, non costa niente, è una gita a Lampedusa. L`ha fatto Moncef Marzouki, il presidente della repubblica tunisina, a metà settembre portandosi a spasso con lui qualche familiare a largo di Lampedusa. Ignorando cosa significa bramare di metterci piede.
Marta Bellingreri