DOPPIO SBARCO AL PORTO DI CATANIA, E IL PALASPEDINI RIPRENDE VITA

C’è tutto il mare in quei grandi occhi azzurri che mi scivolano addosso, per poi tornare a rintanarsi nel sorriso stanco del padre. Il mare che a soli cinque mesi di vita ha dovuto attraversare insieme ai genitori e al fratellino di cinque anni che ora, al buio del Palaspedini di Catania, gioca a palla e rivendica il suo diritto di essere un bambino come gli altri.Sono le nove del mattino quando al porto di Catania inizia lo sbarco di 236 cittadini siriani, siro-palestinesi e libici, di cui 39 donne e 70 bambini, tratti in salvo il giorno precedente da un mercantile svedese, normalmente adibito al trasporto di autovetture, nel Canale di Sicilia.

I profughi arrivano in banchina in seguito al trasbordo sopra un rimorchiatore della Guardia Costiera, poiché il cargo di grandi dimensioni, a causa del forte vento, non è in grado di attraccare. La macchina dell’accoglienza è già attiva dalle otto del mattino: svariati agenti di Polizia, militari dell’Arma dei Carbinieri e della Guardia di Finanza, personale della Protezione Civile di Catania e medici della Croce Rossa. Mancano all’appello le organizzazioni di Praesidium, mentre sono presenti, distribuendo bottigliette d’acqua e parlando con i profughi, gli operatori del Cara di Mineo, membri della cooperativa “Sol.co”. Immancabili inoltre, da un mese a questa parte, i responsabili dell’Agenzia Frontex, che rilevano informazioni al momento dello sbarco grazie alla collaborazione con le forze di Polizia italiane. Come spesso avviene durante gli arrivi di persone provenienti dalla Siria, si nota da subito la presenza di bambini anche molto piccoli. Si stringono ai genitori, hanno paura di perderli, proprio ora che l’agonia sembra avere fine, anche solo allentando la stretta tra le dita. Come di consueto i migranti vengono fotografati e ad ognuno viene assegnato un numero, riportato a pennarello sul polso. Dopo aver consegnato loro calze, bibite e biscotti, vengono fatti salire sugli autobus del comune: direzione Palaspedini, il palazzetto dello sport che fino a pochi giorni fa era occupato da uomini e donne provenienti dall’Africa sub sahariana, ora ospitati al Cara di Mineo. Non ci sono feriti gravi, ma sono presenti due donne incinte e un uomo che, a causa di un malessere dovuto al viaggio, viene portato via con l’ambulanza.Mi reco nei pressi dello stadio due volte nel corso della giornata: subito dopo lo sbarco, quando le operazioni di identificazione sono ancora in corso e le persone sono trattenute all’interno del palazzetto, e intorno alle 17.30 di questa sera. I Carabinieri stazionano all’esterno, le identificazioni sono ancora in corso e solo gli operatori del Cara di Mineo hanno l’autorizzazione ad accedere. Con Maria ed Anita, le ragazze norvegesi che dalla Sicilia vogliono dare voce a tutte le persone che nel loro Paese sperano di trovare la pace, riesco a raccogliere qualche frammento di storia. Una ragazzina siriana esce per prendere aria, aspetta di ricevere notizie di sua madre, un giovane si siede al suo fianco e riesce a strapparle un sorriso. Raccontano di essere stati in mare otto giorni prima di essere soccorsi. Erano tre le navi in viaggio, “due in metallo e una in legno, quella in legno si è persa”, racconta un altro siriano, e chiede che la notizia venga divulgata.Nel frattempo, dalle 17 circa, a Catania ha inizio un secondo sbarco. Ha provveduto al soccorso nel Canale di Sicilia, questa volta, un mercantile battente bandiera della Isole Marshall, come mi riferiscono dalla Capitaneria di Porto. Non mi è possibile avvicinarmi poiché le transenne sono state posizionate a diversi metri dal luogo dello sbarco, ma noto che, oltre alle persone presenti nella mattinata, si è aggiunto anche un operatore di Save the Children. Sono state tratte in salvo 237 persone di origine siriana, somala e sub sahariana, di cui 40 donne e 9 minori. Il grande cargo viene fatto attraccare direttamente in banchina, mentre al porto arrivano cinque pullman attraverso i quali i migranti, secondo notizie non ufficiali, dovrebbero essere smistati tra Catania e Messina. Un ragazzo somalo prende posto accanto a me, gli occhi speranzosi rivolti alla nave, è in Italia dal 2011 e sta aspettando suo fratello.Beatrice Gornati, Borderline Sicilia Onlus