Attentato all’umanità
Con l’avvicinarsi dell’anniversario dei 20 anni dal G8 di Genova, l’Italia continua ad essere un Paese che troppo facilmente e troppo spesso calpesta i diritti umani e si macchia, attraverso le proprie istituzioni, di crimini.
Solo negli ultimi giorni abbiamo visto un video di agenti penitenziari che torturano detenuti inermi dentro un carcere ed un video di spari e speronamenti ad una barca di migranti da parte di guardia-coste libici pagati, addestrati e foraggiati con soldi pubblici italiani ed europei.
E, nel frattempo, per lasciare il più possibile campo libero ai criminali libici, le autorità italiane utilizzano cavilli tecnici per bloccare nei porti le navi di soccorso delle ONG.
Siamo uno Stato che maltratta ed uccide le persone che ha in custodia e quelle a cui dovrebbe dare protezione, uno Stato in cui ogni giorno muore qualcuno sul posto di lavoro. Uno Stato che compie attentati all’umanità e resta impunito.
Il mare continua a restituire i corpi sulle spiagge tunisine e libiche, mentre centinaia di madri piangono i propri figli che non riescono ad arrivare, e donne e bambini pagano il prezzo più alto di questa guerra a senso unico portata avanti da un’Europa miope e sorda alla sofferenza umana.
Arrivi e morti sono quotidiani di fronte a Lampedusa, innescando sempre la stessa retorica dell’emergenza. Lasciare l’hotspot e l’isola sempre in uno stato di disagio è criminale. Da troppi anni dobbiamo assistere al solito spettacolo indecente del sovraffollamento, dei materassi di gomma piuma gettati a terra nel cortile di una struttura inadeguata ed in perenne ristrutturazione. Un centro che vede operativi soltanto due medici che devono assistere 700 persone, molte delle quali vulnerabili e spesso con problemi pregressi. Che tipo di assistenza e attenzione possono dare due medici per turno? Nessuna.
Come è totalmente assente l’assistenza legale. A Lampedusa non si fa nessuna informativa – scelta chiara di questo e dei precedenti governi, – negando un diritto alle persone che arrivano. L’approccio hotspot continua a basarsi sulla scrematura sulla base della nazionalità delle persone che arrivano, con la conseguenza che pochissimi nordafricani hanno la possibilità di chiedere protezione. Non esistono la lucidità ed il tempo per ascoltare quello che le persone vorrebbero comunicare.
Ancora minori non accompagnati sulle navi quarantena
Questo meccanismo perverso fa anche sì che sulle navi quarantena finiscano tanti minori stranieri non accompagnati, per cui ci troviamo costretti a continuare a presentare esposti alle competenti autorità affinché vengano cessate queste prassi illegittime. All’ultima segnalazione effettuata, il Tribunale per i minorenni di Palermo ha risposto riportando quanto affermato dalla questura di Trapani, ossia che a bordo della nave Adriatico non vi è presenza di minori non accompagnati. In realtà, il problema che si verifica – in questo come in molti altri casi – è che, a causa della mancanza di informativa legale e a causa della sbrigatività delle operazioni di identificazione, la minore età viene constatata solo a bordo della nave dove il minore è poi costretto a restare per il periodo di quarantena.
Riceviamo anche segnalazioni di minori accompagnati da parenti neomaggiorenni, che vengono separati perché se il neomaggiorenne è tunisino viene portato al CPR, mentre il minore viene collocato in una comunità. Spesso si tratta di bambini tra i 10 e i 12 anni che vengono separati dall’unico legame che hanno in Italia. Sulle navi quarantena gli operatori assunti dalla Croce Rossa sono spesso senza esperienza e ciò rende la loro azione inefficace. La difficoltà (o potremmo dire la quasi impossibilità) per i tunisini di accedere alla protezione ci viene riferita da numerose segnalazioni e richieste di aiuto che arrivano alla nostra associazione (e non solo). Tantissimi tunisini scrivono chiedendo un avvocato perché non vengono ascoltati, tantissimi parenti scrivono per aver notizie dei parenti rinchiusi a Lampedusa da settimane, senza che nessuno dia spiegazioni.
Un’altra prassi messa in atto dopo la fine della quarantena sulle navi, per i tunisini, è il passaggio alla tappa successiva: l’aeroporto per il rimpatrio senza neanche passare dal CPR, a seconda della disponibilità di posti. Solo la casualità per loro definisce la destinazione, visto che ci sono tunisini portati a Gradisca o a Milano, per poi essere riportati a Palermo per il rimpatrio dopo la procedura. In pratica soldi su soldi per alimentare il business del controllo delle frontiere, un traffico legalizzato dalla politica.
Lo stato ed i numeri del sistema di accoglienza in Sicilia
L’altro business della migrazione è quello legato al sistema di accoglienza, in cui, ancora in troppe strutture, le condizioni sono peggiori anno dopo anno. Anche per il sistema di accoglienza diffuso, di cui si continua a cambiare l’acronimo (l’ultimo è SAI), le modalità di accoglienza in molti centri sono sempre più simili a quelle dei CAS. Si lavora in emergenza anche in centri che dovrebbero essere l’élite italiana. Nelle ultime settimane abbiamo ricevuto numerose segnalazioni specialmente per quanto riguarda i SAI del trapanese ed i CAS dell’agrigentino, in cui a quanto pare ci sono famiglie abbandonate a se stesse e coinvolte in violente liti che avvengono fra diverse fazioni senza che l’ente gestore prenda provvedimenti.
Abbiamo ricevuto anche segnalazioni di neomaggiorenni vulnerabili che vengono inseriti nei SAI e che scappano dopo due giorni da stanze senza armadi, con scarafaggi, e talmente calde da spingere le persone a dormire sui balconi, prima di abbandonare un possibile percorso di inserimento in Italia.
Questo è un sistema che di integrazione non ha nulla: l’unico merito che hanno le cooperative che gestiscono in questo modo i SAI, come fossero dei CAS, è la creazione di fantasmi, che vagano per la Sicilia. A causa del Covid-19 non abbiamo ancora modo di verificare di presenza le testimonianze dei ragazzi e delle famiglie che ci contattano, ma continuiamo a mantenere alta l’attenzione dirottando tutte le segnalazioni alle autorità competenti affinché svolgano il proprio compito di monitoraggio di tutte le strutture di accoglienza.
Monitoraggio – quasi inesistente anche a causa del Covid-19 – che lascia crepe enormi in un sistema di accoglienza già inefficiente da tempo, aumentando le criticità. Le condizioni di chi vive, specialmente nei CAS, sono e restano un mistero per l’opinione pubblica, ma se ci rifacciamo alle testimonianze di molte persone, sembra di essere tornati indietro ai tempi della gestione della Protezione Civile del 2011.
Ad oggi – in base alle informazioni ricevute dal Ministero dell’Interno a seguito di una nostra istanza di accesso civico generalizzato – nelle province siciliane ci sono 78 CAS attivi distribuiti nel seguente modo: 17 a Palermo per una capienza di 751 posti, 16 a Ragusa per una capienza di 554 posti, 8 a Trapani per una capienza di 473 posti, 5 a Siracusa per una capienza di 473 posti, 10 ad Agrigento per una capienza di 365 posti, 10 a Messina per una capienza di 342 posti, 10 a Enna per una capienza di 311 posti e 2 a Catania per una capienza di 37 posti. Un totale di 3287 posti nei CAS siciliani, in cui l’unica provincia in cui non sono presenti è Caltanissetta, che attualmente ha il CPR e un centro Covid per 195 persone. Catania è la provincia in cui ci sono meno posti, dopo anni in cui con il mega cara di Mineo ha avuto il record europeo di presenze di richiedenti asilo.
A questi numeri bisogna aggiungere i posti Covid di Agrigento (309), Ragusa (195), Trapani (179) e Siracusa (37), per un totale di 995 posti Covid in Sicilia.
La provincia di Agrigento è quella esposta ad una maggiore pressione per la presenza di Lampedusa e la gestione delle navi quarantena, e per questo motivo la prefettura in primis dovrebbe essere potenziata di personale invece di essere lasciata allo sbando, ogni anno di più.
Anche questo è un sintomo di una malattia che l’Italia si porta dietro da anni, improvvisazione che accompagna il fascismo sempre meno nascosto, per attentati all’umanità che giorno dopo giorno si perpetuano ai danni di innocenti vittime di un sistema malato.
Alberto Biondo
Borderline Sicilia