Nuovi sbarchi a Pozzallo ed Augusta. Dove inizia e finisce l’”accoglienza”

Le pessime condizioni del mare fanno slittare date e orari degli ultimi sbarchi ma non arrestano la fuga dei migranti. Sono più di 600 i profughi arrivati in questi ultimi giorni sulle coste della Sicilia orientale, mentre altri 244 sono giunti nel porto di Reggio Calabria a bordo della nave Spica della Marina Militare martedì 26 aprile. La nave Dignity I di Msf ha ripreso i salvataggi arrivando a Pozzallo la mattina di lunedì 25 aprile con a bordo 308 persone, recuperate al largo delle coste libiche in un unico evento, dopo 30 ore di faticosa navigazione.


Foto di Lucia Borghi

Riparte quindi la missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo da parte di Medici senza Frontiere, che aumenteranno a breve i mezzi dedicati ai soccorsi. Nell’attesa di politiche migratorie capaci di consentire un ingresso legale e sicuro a chi fugge, tra tante parole vuote e gesti simbolici di facciata, finalmente un’azione concreta per dare immediato soccorso alle migliaia di migranti che rischiano continuamente la vita in mare. I migranti approdati a Pozzallo sono perlopiù di nazionalità somala, eritrea ed etiope; tra di loro si contano ben 80 donne, di cui sei in stato di gravidanza e molte con bimbi piccoli, e circa 23 minori. Sulla nave hanno potuto avere la prima assistenza sanitaria e la possibilità di tranquillizzarsi con chi ha cercato di stabilire innanzitutto un contatto umano fra pari e non ha permesso di considerare i profughi solo come potenziali indagati o testimoni per avviare le investigazioni, come succede su altre navi. Un esempio di accoglienza degna che spesso stride con quella ricevuta dai migranti dopo l’approdo. Il loro arrivo nel porto ibleo è stato accompagnato da un vento forte e freddo che ha battuto la banchina per tutta la mattinata; una volta scesi a terra i migranti sono stati infatti accostati ad un’ambulanza per le foto della scientifica, ma lasciati esposti al vento durante i diversi interrogatori, che per alcuni si sono prolungati per decine di minuti, ad opera del personale di polizia e di Frontex. Chi non viene trasferito in ospedale o fermato in banchina dalla polizia, viene perquisito e successivamente può salire sui bus dove l’UNHCR, raggiunta più tardi da Save The Children, ha svolto l’attività informativa per i pochi minuti di tragitto verso l’hotspot. Il team di Emergency ha supportato l’attività sanitaria in banchina e dato assistenza fuori dal centro principalmente ai circa 100 migranti destinati ad un trasferimento immediato, divisi tra l’hotspot di Trapani Milo e quello di Taranto. Per tutti gli altri la destinazione è l’hotspot di Pozzallo, la cui gestione è attualmente affidata ancora alla Cooperativa Azione Sociale con una proroga fino al prossimo 24 maggio.

Decisamente più complicato è stato l’approdo degli altri 366 migranti condotti al porto di Augusta a bordo della Nave Dattilo della Guardia Costiera, recuperati da tre diversi barconi partiti dalla Libia. A causa del forte vento e delle cattive condizioni del mare, sono rimasti in attesa fuori dal porto circa 24 ore per poter sbarcare la mattina di mercoledì 27 aprile. La sera precedente 13 di loro, in stato di semi assideramento e critiche condizioni fisiche sono stati portati a terra d’urgenza da una motovedetta per ricevere le prime cure mediche. Saranno poi riportati alla tendopoli allestita al porto la mattina successiva, per ricevere ulteriore assistenza dal team di Emergency e sottoporsi alle procedure di identificazione. Incrociamo 8 di loro all’entrata del varco portuale, mentre aspettiamo di essere autorizzati ad accedere all’area di sbarco. Contrariamente a quanto avviene da due anni a questa parte infatti, in occasione di questo evento la Prefettura ci consente l’ingresso solo dopo ben 3 ore di attesa, quando gli ultimi migranti stanno lentamente procedendo verso la tendopoli, scortati dalla polizia. I profughi vengono fatti lentamente avanzare in piccoli gruppi ordinati per file ed in silenzio, avvolti nelle tute termiche bianche, per poi fermarsi sul piazzale asfaltato del campo in attesa di essere interrogati dalle forze dell’ordine e dagli agenti di Frontex, seduti dietro un banchetto riparato dal sole. Una scena che fa pensare al trasferimento coatto di pericolosi criminali più che a procedure di prima accoglienza rivolte a migranti in fuga dall’inferno libico e appena scampati dalla morte in mare. Ma la maggior parte degli attori coinvolti si ostina a definire ancora “accoglienza” ogni trattamento di questo tipo, e “problema” l’arrivo di persone determinate a cercare un futuro. Scambiamo poche parole con alcuni profughi in attesa di essere visitati nel Polibus di Emergency: molti di loro ci dicono di cominciare a capire solo ora dove sono ed iniziano a preoccuparsi per ciò che li attende. Un ragazzo ivoriano ci racconta brevemente di come sia stato costretto a fuggire all’improvviso dal suo paese, lasciando tutto dietro di sé; avrebbe voluto poterlo fare come suo fratello, che ora sta in Canada dopo aver vinto una borsa di studio, ma “da noi non ci si può muovere liberamente come qui. Quello che troviamo nel nostro paese è solo violenza, censura e corruzione. Per ritrovare la libertà siamo costretti a superare migliaia di barriere”. I migranti sbarcati oggi sono prevalentemente di origine subsahariana, provenienti da Nigeria ,Mali, Guinea, Costa d’Avorio. Tra di loro molte giovani donne e minori, che ci dicono di aver iniziato il loro viaggio con altri amici, persi per la strada o morti nel deserto. Sono partiti su gommoni fatiscenti sabato notte da Tripoli e ora sperano solo di poter trovare un po’ di tranquillità. Un giovane ragazzo sviene mentre attende seduto sull’asfalto il suo turno per le procedure di pre-identificazione: il vento non è forte ma il sole sì, e i migranti sono visibilmente affaticati dopo il lungo viaggio, ma lì devono stare. Dopo altre due lunghe ore di attesa siamo autorizzati ad accedere all’area dove si trovano le persone già pre-identificate, mentre tutt’intorno il numero degli agenti di polizia e di Frontex supera di gran lunga quello degli operatori delle ONG. “Dove siamo? Dove andremo? Quanto dobbiamo aspettare?” Queste sono le domande più frequenti che ci rivolgono tutti quelli con cui parliamo: il pensiero va subito all’urgenza di chiamare chi è rimasto a casa e che neppure sapeva del viaggio in mare, perché prima di partire spesso si rimane rinchiusi in compound sulle coste libiche se non direttamente in prigione. E da qui il discorso si sposta velocemente sulla paura di essere rimpatriati, perché “continuiamo a vedere un sacco di polizia. Cosa sta succedendo?” Ma il timore cede spesso subito il passo alla determinazione: “sono stato costretto a scappare” ci dice un giovane della Guinea “l’Italia non sapevo nemmeno dov’era. Quello che posso fare ora è cercare di sopravvivere nel modo migliore possibile”. Di fianco a lui il suo compagno vorrebbe parlare ma è troppo stanco per farlo: “quella del mio viaggio è una lunga storia. Dico solo che in Libia ho perso il conto dei giorni, perché il tempo si è fermato in prigione. Spero che un giorno qualcuno mi vorrà ascoltare”. Verso sera iniziano i trasferimenti di alcuni migranti verso le strutture più vicine, dove altre procedure e altre prassi li attendono all’interno del sistema che dovrebbe garantire loro una degna accoglienza e protezione, ma sappiamo che spesso non si rivela come tale.


Foto Lucia Borghi

Intanto all’interno dell’hotspot di Pozzallo permangono le condizioni di sovraffollamento e permanenza prolungata di minori. Oltre ai migranti giunti lunedì pare infatti che alcuni minori siano al centro da settimane, trattenuti in modo illegittimo con la solita e sempre più inaccettabile giustificazione della mancanza di posti disponibili. All’esterno della struttura c’è un gran movimento e una massiccia presenza di forze dell’ordine, mentre l’esercito presidia l’entrata. La mattina di mercoledì si sono levate distintamente dall’interno dell’hotspot le grida dei migranti trattenuti, per una buona mezz’ora. Ancora non sappiamo quale sia stata la causa ma la preoccupazione va alle prassi già note usate nei confronti di migranti restii a farsi identificare o a chi non ha altro modo di reclamare i propri diritti che quello di protestare. Per loro l’”accoglienza” promessa dalla Fortezza Europa sembra non sia mai iniziata e non debba mai arrivare.

Lucia Borghi

Borderline Sicilia Onlus