Detenuti ed ospiti nel CIE – C.A.R.A. di Caltanissetta

Quando anche il diritto rimane fuori dai cancelli

Approfondimento di Fulvio Vassallo Paleologo della situazione al C.A.R.A. di Caltanissetta, LasciateCIEntrare, 27 aprile 2012 

1)      La visita al centro polifunzionale (CIE/CDA/CARA) di Pian del Lago a Caltanissetta

Il centro polifunzionale per gli immigrati di Pian del Lago, a Caltanissetta, comprende al suo interno un centro di identificazione ed espulsione (CIE), riaperto nel mese di marzo del 2012, un Centro di accoglienza (CDA), ed un  Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA)[1].

Vale in pieno per il centro polifunzionale di Caltanissetta la preoccupazione segnalata nella ricerca “Il diritto alla protezione” coordinata dall’Asgi e pubblicata nel febbraio del 2012, “La parziale sovrapposizione tra C.D.A e C.A.R.A, in termini di capienza posti, non consente di conoscere con chiarezza quanti siano i posti riservati all’accoglienza dei richiedenti asilo, e, cosa ancora più rilevante, quanti siano i richiedenti asilo che hanno trovato effettiva accoglienza nei centri.
Se infatti ai C.D.A vengono condotti gli stranieri in attesa dell’identificazione e della adozione dei relativi provvedimenti amministrativi, non risulta possibile, almeno alla luce dei dati forniti, sapere quanti siano coloro che hanno in effetti presentato istanza di asilo ed hanno usufruito della relativa accoglienza ai sensi del D.Lgs 140/05 e quanti invece siano stati gli stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento, ovvero che si siano resi irreperibili prima dell’adozione di un qualsivoglia provvedimento. Viene pertanto in rilievo una ulteriore e assai rilevante problematica: a meno di non volereconsiderare, in termini di capacità di sistema di accoglienza per i richiedenti asilo i soli posti disponibili nelle strutture individuate quali solo C.A.R.A (ipotesi che non terrebbe conto della ben diversa realtà fattuale), allo stato dei dati disponibili, il sistema delle “scatole cinesi” tra C.D.A. e C.A.R.A. impedisce di conoscere con chiarezza quale sia l’effettiva capacità di accoglienza del sistema dei C.A.R.A”, che si può stimare solo con molta approssimazione attorno ai 4.000 posti in tutta Italia [2] .”In conseguenza di ciò non risulta neppure possibile operare analisi più complesse quali una valutazione sull’efficacia tra il sistema di accoglienza incardinato sui C.A.R.A. e il sistema S.P.R.A.R., sulla congruità dei costi sostenuti, sull’efficienza degli interventi realizzati”. Alla confusione contabile si aggiunge anche una enorme incertezza sullo status giuridico delle persone che sono in accoglienza, magari all’interno delle medesime strutture, ma con diversi documenti e dunque con una diversa libertà di circolazione. Per tutti i tempi di attesa si allungano ben oltre quanto previsto dalla legge. Incertezza che si riproduce anche al momento dell’uscita dal CIE/CDA/CARA di Caltanissetta anche nel caso in cui la persona abbia ottenuto lo status di protezione internazionale o la protezione umanitaria.

 La successiva accoglienza in circuiti protetti, ovvero nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), è garantita soltanto ai soggetti vulnerabili: vittime di tortura, donne incinte, famiglie, ragazze madri. Per gli altri richiedenti protezione internazionale o già titolari di uno status legale, di rifugiati,  o di una protezione sussidiaria, o di una protezione umanitaria, semplicemente non c’è posto. Malgrado l’aumento registrato nel 2011, circa mille posti aggiuntivi, lo Sprar in Italia conta soltanto 4.000 posti letto, di cui 450 per soggetti vulnerabili. Il fabbisogno è almeno tre volte tanto, visto che solo nel 2011 le richieste d’asilo sono state oltre 36.000, con un tasso di accoglimento che viaggia attorno al 45 per cento. Sembra intanto in grave difficoltà il sistema di accoglienza parallelo per richiedenti asilo, messo in opera nel 2011 con fondi della protezione civile. Molte strutture sono ormai prive di risorse, altre sono state chiuse per gravi inadempienze e migliaia di richiedenti asilo dopo avere ricevuto un diniego da parte della competente commissione territoriale si trovano allo sbando, senza informazioni, senza orientamento legale, senza alcuna possibilità di ripresentare un’altra istanza di asilo sulla base di fatti nuovi, come la legge prevede ( d.lgs. 25 del 2008) o di fare ricorso nei ristretti termini accordati dalla stessa normativa (trenta giorni).

Durante la visita nel centro polifunzionale di Caltanissetta, effettuata il 27 aprile 2012 da una delegazione di LasciateCientrare, composta da Fulvio Vassallo Paleologo (ASGI) da Judith Gleitze (Borderline Sicilia) e da Giuliana Geraci (ASGI e Sportello migranti di Caltanissetta), vi si trovavano circa 440 persone in procedura di asilo o in attesa di formalizzare la domanda ed un numero imprecisato di detenuti trattenuti nel CIE,  che ha una capienza massima di 100 persone circa, tra cui una ventina di richiedenti asilo che dovrebbero essere sentiti al più presto dalla Commissione territoriale di Siracusa, con la procedura accelerata, che si recherà a Caltanissetta al fine di stabilire chi di loro avrà diritto al riconoscimento di uno status di soggiorno, o continuerà ad essere trattenuto in vista dell’espulsione. Dal decreto 159 del 2008, fortemente voluto dal ministro Maroni, infatti, la proposizione di un ricorso contro il diniego della richiesta di asilo, per il quale sono comunque previsti termini assai stretti, non ha effetto sospensivo della misura del trattenimento amministrativo. E dopo la legge n.129 del 2011 nei CIE si potrebbe restare, ma solo in presenza di determinate circostanze e con una motivazione congrua, fino a 18 mesi.

Nel centro “polifunzionale” di Caltanissetta lavorano oltre cento operatori sociali, diversi medici, due avvocati, psicologi, e numerosi mediatori culturali. Sono assunti dalla Cooperativa sociale Albatros 1973, che dal 2002 gestisce in appalto i servizi del centro. Un appalto che vale diversi milioni di euro all’anno, che adesso, come altri rapporti analoghi negli altri centri italiani, sarà rivisto  con nuove gare d’asta al massimo ribasso, allo scopo dichiarato di risparmiare, ma con il rischio concreto che i servizi fin qui erogati agli immigrati siano drasticamente ridimensionati. Del resto, in assenza di controlli effettivi da parte delle Prefetture e della Corte dei Conti, soprattutto nel corso dell’emergenza immigrazione del 2011, in particolare nel primo semestre dell’anno, quando il coordinamento degli interventi di accoglienza  era affidato alla Prefettura di Palermo, appare sempre più fondato il dubbio che una ingente quantità di risorse pubbliche sia stata sprecata senza realizzare compiutamente quelle finalità che ci si proponeva.

Come era emerso in precedenti visite, anche in questa occasione abbiamo potuto constatare come il centro polifunzionale di Pian del Lago sia insieme un luogo di detenzione e di accoglienza, un’accoglienza che assume i caratteri di un vero e proprio confinamento, per i rilevanti poteri assegnati al Prefetto ed alla questura nel rilascio dei documenti di soggiorno che possono garantire la libera circolazione sul territorio nazionale, e dei documenti di viaggio che possono consentire il trasferimento temporaneo in altri paesi dell’Unione Europea. Numerosi i disagi igienici lamentati dagli ospiti, derivanti soprattutto dall’invecchiamento delle strutture e dalla fatiscenza dei servizi igienici, anche se il personale sembrava impegnato a mantenere la struttura nelle condizioni relativamente migliori.

Il vecchio centro di identificazione e espulsione (CIE),ubicato proprio nella parte più interna del centro “polifunzionale”, in occasione della visita del 27 aprile, restava chiuso per la piccola delegazione di LasciateCientrare, in assenza di parlamentari ,o di giornalisti autorizzati dal Ministero dell’interno, ma anche visto da fuori confermava le caratteristiche che conosciamo bene da tempo. Il centro, che altro non è che il vecchio Cpt (centro di permanenza temporanea) aperto dal 1998 e soggetto a continui lavori di ristrutturazione, dopo il rogo che lo aveva distrutto in parte nel 2009, e consiste in una serie di baracche in muratura, con camerate di sei letti, aperti su un cortile di cemento nel mezzo del quale si trova la mensa. All’interno del cortile i migranti detenuti, una volta liberi di spostarsi, almeno nel corso della visita della delegazione risultavano invisibili, probabilmente perché le forze dell’ordine li tenevano al chiuso delle camerate. Tutto intorno al CIE si leva una gabbia di tubi d’acciaio alta nove metri, con una ulteriore elevazione rispetto alle ultime visite. Alla sommità della gabbia i tubi sono ripiegati in basso, verso l’interno, in modo da rendere impossibile ogni tentativo di fuga. Tuttavia fino a poche settimane fa, sembra attraverso un portoncino, alcuni immigrati sono riusciti a fuggire. Il Cie di Pian del Lago ha una capienza di 100 posti circa ma il tasso di occupazione appariva sensibilmente più basso.

Nei CIE siciliani, dopo l’attenuazione degli sbarchi, in media il 70% dei trattenuti è costituito da ex detenuti, portati nel CIE a fine pena per l’identificazione e il rimpatrio, un rimpatrio che spesso non si realizza neppure dopo i primi sei mesi di detenzione. Poi ci sono le persone senza documenti e con un precedente ordine di espulsione a cui non hanno ottemperato, arrestate dalla polizia durante controlli dei documenti. E infine una parte di quelli che sbarcano a Lampedusa, o sulle coste siciliane, soprattutto tunisini, che dal controllo delle impronte digitali risultano essere già stati in Italia. La percentuale dei rimpatri rimane comunque bassa. Meno del quaranta per cento. Un dato che già emergeva dalla Commissione De Mistura che nel 2006 visitò i CPT italiani, stimando che soltanto 6.000 dei 22.000 migranti che ogni anno transitavano nei centri (oggi denominati Cie) venivano espulsi. Una percentuale che oggi sembra ancora più bassa, mentre in compenso aumenta il numero degli immigrati respinti direttamente, e spesso collettivamente, alle frontiere  marittime ed aeroportuali, tra questi in numero crescente gli egiziani.

Ma a Pian del Lago si fa anche accoglienza. Il centro per i richiedenti asilo (Cara) può ospitare fino a 96 persone, nelle casette ubicate a sinistra dopo l’ingresso dietro un’alta rete metallica che si apre solo con l’intervento degli operatori dell’ente gestore. Poi c’è il centro d’accoglienza (CDA), che ha 360 posti circa e ospita sia richiedenti asilo già in procedura che uomini e donne appena trasferiti in base al Regolamento Dublino, o subito dopo l’ingresso nel territorio nazionale, ai quali sono state rilevate le impronte digitali ma che sono ancora in attesa di identificazione. Il CDA, che di fatto funziona anche come un CARA è costituito da una serie di container grigi, con aria condizionata e riscaldamento, disposti in fila su un piazzale di cemento. In ogni container dormono da dieci a dodici persone, decisamente troppi, mentre in passato erano mediamente da sei ad otto. Le donne stanno in un container a parte vicino all’ingresso.. Queste due sezioni, dedicate all’accoglienza, sono aperte dalle 10 del mattino fino alle 20-21.

Chiunque può uscire e rientrare a suo piacimento. A meno di non avere violato qualche regola non scritta, come ad esempio essersi ubriacato all’esterno del centro, circostanza che può anche comportare l’espulsione dal centro, ma che è stata affrontata da parte della Prefettura di Caltanissetta con la privazione del documento di riconoscimento e dunque con la inibizione totale di uscire dalla struttura, sembrerebbe per quindici giorni, con una limitazione totale dunque della libertà personale, senza alcuna convalida giurisdizionale. Come motivazione ufficiale, alla delegazione veniva riferito che era stato lo stesso immigrato a distruggere o a perdere sistematicamente il documento identificativo, e che per questa ragione passavano alcuni giorni prima del rilascio del duplicato, giorni nei quali la persona in questione non poteva uscire dal centro. Un esercizio della discrezionalità amministrativa sicuramente in contrasto con quanto previsto da leggi e regolamenti. In ogni caso si trattava di una persona con evidenti problemi di alcolismo che avrebbe meritato una cura particolare.

La circostanza che una parte dei richiedenti asilo non aveva  ancora avviato la procedura con la compilazione del cd. modulo C 3 e la presenza di altre persone, prevalentemente pakistani ed afghani, che erano stati rinviati da altri paesi europei in applicazione del Regolamento Dublino n.343 dl 2003, comporta in ogni caso vistose differenze circa l’esercizio effettivo della libertà di circolazione, riconosciuto pienamente, seppure nell’ambito di una precisa fascia oraria (8-20), soltanto a coloro che erano ufficialmente entrati in procedura con la redazione del modulo C 3.

Come al solito manca qualunque collegamento a servizio del centro e la strada verso Caltanissetta era disseminata di pedoni, che sotto il sole raggiungevano la città, dopo un’oretta di cammino. I migranti rimangono a Pian del Lago fino alla fine dell’iter della domanda d’asilo, e comunque in qualche caso anche oltre i sei mesi che dovrebbero costituire il termine massimo di permanenza nei CARA. Ma anche per coloro che ricevono uno status di silo, di protezione sussidiaria o di protezione umanitaria le prospettive sono assai incerte anche per la cronica mancanza di posti nel sistema nazionale di accoglienza per i rifugiati. Ognuno prende la sua strada, appena può disporre di un valido titolo di soggiorno, e qualche volta anche prima, magari verso altri paesi europei nei quali si trovano già parenti ed amici, dove se riescono a lavorare per qualche anno, cosa in Italia sempre più difficile, potrebbero anche stabilirsi definitivamente. Per molti l’Italia, e la Sicilia, sono soltanto luoghi di transito e non di insediamento definitivo.

  1. Le criticità di carattere legale emerse nel corso della visita

Quanto rilevato durante la visita nel CIE/CARA di Caltanissetta, soprattutto per i ritardi cronici che sono stati riscontrati,  induce a richiamare alcuni principi fondamentali della procedura per il riconoscimento dello status di protezione internazionale. Come riferito nella ricerca “Il diritto alla protezione” coordinata dall’ASGI “l’art. 26 c.1 e 2, del decreto legislativo 25 del 2008, in conformità ai principi generali di diritto amministrativo, prevede che la ricezione della domanda di asilo da parte dell’autorità di PS, con conseguente rilascio (c.3 e 4) del verbale di ricezione dell’istanza, del permesso di soggiorno o di attestato nominativo, nonché con attivazione delle misure di accoglienza, avvenga contestualmente o subito dopo la presentazione della domanda stessa, che come si è detto, si sostanzia nella chiara manifestazione di volontà del richiedente. L’emergere di esigenze organizzative da parte degli uffici competenti che producano una dilatazione significativa del tempo intercorrente tra la presentazione della domanda e la sua formalizzazione non possono andare a danno del richiedente, né sotto il profilo della regolarità della presenza nel territorio nazionale nelle more del procedimento, né sotto il profilo dell’immediatezza delle necessarie misure assistenziali. In altri termini, la condizione giuridica dello straniero che è in attesa della verbalizzazione della sua domanda di asilo è quella di richiedente la protezione internazionale, ancorché lo stesso sia stato munito solo di un invito (sotto forma di cedolini o simili) a presentarsi in una data successiva per l’espletamento della procedura, o sia addirittura sprovvisto di ogni documentazione in ragione di appuntamenti verbali.

Nello stesso periodo di attesa al richiedente va garantito l’accesso alle misure assistenziali che il D.Lgs 140/05, art. 5 fa decorrere “ dal momento della presentazione della domanda”. Si richiama il dettato normativo della Direttiva Accoglienza, ove si stabilisce infatti che “gli Stati membri provvedono affinché, entro tre giorni dalla presentazione della domanda di asilo all’autorità competente, ai richiedenti asilo sia rilasciato un documento nominativo che certifichi lo status di richiedente asilo o che attesti che il richiedente asilo è autorizzato asoggiornare nel territorio dello Stato membro nel periodo in cui la domanda é pendente o é inesame” (art. 6, c. 1 Dir. 2009/3/CE). Del resto, il successivo art. 13, c. 1 della Direttiva Accoglienza prevede che “Gli Stati membri provvedono a che i richiedenti asilo abbianoaccesso alle condizioni materiali d’accoglienza nel momento in cui presentano la domanda diasilo”. Pertanto, alla luce delle disposizioni comunitarie è necessario che il sistema di accoglienza per i richiedenti asilo sia effettivamente organizzato in modo da garantire immediata accoglienza al momento della presentazione della domanda”.

Nessuno di coloro che, nel corso della visita al CIE/CARA di Caltanissetta ed al suo esterno, dichiaravano di avere fatto richiesta di asilo da oltre sei mesi, risultavano peraltro in possesso di un permesso di soggiorno temporaneo, o tantomeno, avevano avuto la possibilità di stipulare u contratto di lavoro, come pure la direttiva comunitaria 2003/9 ed il decreto legislativo di attuazione n.140 del 2005, avrebbero dovuto consentire. Molti chiedevano come fare per trasferirsi in altri paesi europei e il protrarsi della procedura rendeva questa ipotesi come una soluzione praticabile, mentre in realtà può compromettere gravemente il destino del richiedente asilo. Infatti l’abbandono del centro non è più considerato una implicita rinuncia alla domanda di riconoscimento della protezione, ma “fa cessare le condizioni di accoglienza”. E si possono comunque verificare altre gravi conseguenze. Nel caso di abbandono dei centri da parte dei richiedenti asilo,  la decisione circa la domanda di protezione può essere infatti adottata senza l’audizione del richiedente. E dopo il diniego in Italia rimane alta la possibilità che la persona, una volta raggiunto un altro paese europeo, magari senza documenti di identità, o di soggiorno, possa essere oggetto di una richiesta di riammissione nel nostro paese ed essere ritrasferita dunque in Italia, dove non ha altra possibilità, se ne ricorrono i presupposti, che presentare una nuova domanda di protezione internazionale.

Di fronte alle difformità dei criteri decisionali emersi nell’operato delle diverse commissioni territoriali[3] sarebbe inoltre auspicabile che la Commissione centrale eserciti il suo potere di indirizzo, stabilendo un minimo di omogeneità e ponendo un freno alla discrezionalità riscontrabile anche all’interno  delle diverse Commissioni, che in qualche occasione hanno deciso con esiti opposti su casi assolutamente identici. Auspicio che appare ancora più urgente, come si vedrà, nel caso dei profughi di diversa nazionalità, fatti partire con la violenza nel 2011 dalla Libia, per la maggior parte dei quali le commissioni territoriali hanno adottato decisioni negative che non tengono neppure conto della possibilità di riconoscere uno status di protezione umanitaria in base all’art. 5 comma 6 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998, se non sulla scorta dell’art. 20 dello stesso Testo Unico,che richiederebbe un provvedimento legislativo di portata generale, come pure si è fatto con i tunisini giunti in Italia fino al 5 aprile 2011.

Mentre alcuni immigrati all’interno del CDA/CARA non vedevano l’ora di potersi allontanare da Caltanissetta con i documenti in regola, o addirittura senza avere completato la procedura, all’esterno della struttura, ai bordi della strada, su un marciapiede assai stretto, sfiorati dalle macchine che passavano a grande velocità, bivaccavano oltre venti richiedenti asilo pakostani ed afghani che chiedevano di entrare nella struttura ma che venivano lasciati all’addiaccio, nutriti dalla solidarietà dei loro compagni già in accoglienza, che gli portavano un poco di cibo in attesa che all’interno si liberasse un posto. Un cibo che veniva consumato mangiando nei piatti posati per terra in mezzo alle sterpaglie.

La centralizzazione della gestione dei posti nei CARA presso il Dipartimento Libertà civili del Ministero dell’interno, i tempi morti nella comunicazione tra il Dipartimento e le singole Prefetture o Questure, ed i tempi sempre assai lunghi di esame delle richieste di asilo da parte della Commissione territoriale di Siracusa, creano un evidente ingolfamento del sistema. A Caltanissetta molti di coloro che erano accolti all’interno del centro hanno confermato di avere dovuto fare una “anticamera” di sette-dieci giorni prima di potere entrare nel CARA. Tra le persone in attesa sulla strada qualche caso Dublino, alcuni che erano stati soltanto identificati con il rilievo delle impronte digitali ed altri che asserivano di avere già compilato il modello C 3 e di essere dunque entrati a pieno titolo nella procedura di asilo. Una situazione intollerabile che è aggravata da evidenti disfunzioni, come quelle verificate quando i richiedenti asilo ospitati all’interno della struttura sono stati condotti a Siracusa e sono rientrati senza essere stati esaminati perché quel giorno la Commissione aveva sospeso la sua attività, oppure come si è verificato per alcuni ch erano stati convocati per il 20 aprile, non si sono reperiti i mezzi per trasferirli a Siracusa, con ennesimi rinvii ed ulteriore affollamento della struttura di Pian del Lago. Anche le esigenze del megaCARA di Mineo, oltre 1600 persone, che assorbono già il lavoro di una sottocommissione della Commissione territoriale di Siracusa, concorrono a rallentare l’esame delle pratiche delle persone “ospitate” nel CDA/CARA di Pian del Lago a Caltanissetta. La creazione del megacentro di Mineo ha avuto effetti devastanti sulle procedure di migliaia di richiedenti asilo, già avviate in diverse parti d’Italia, che una volta trasferiti a Mineo, nel corso del 2011, hanno dovuto ricominciare da capo la trafila burocratica trovandosi costretti a protestare, con gravi episodi di repressione violenta da parte delle forze di polizia

Una situazione oggettivamente intollerabile che potrebbe risolversi soltanto con il trasferimento della Commissione di Siracusa, o di una sua sottocommissione che andrebbe creata ad hoc, a Caltanissetta, in modo da esaminare le richieste di asilo nei tempi previsti dalla legge e dalle Direttive comunitarie. Una soluzione che in passato veniva adottata e che oggi sembra preclusa dal drastico taglio delle diarie previste per i trasferimenti della Commissione di Siracusa, che di fatto si sposta a Caltanissetta soltanto per esaminare le istanze di protezione internazionale degli immigrati detenuti all’interno del CIE. Per tutti gli altri tempi di attesa che possono anche superare i nove mesi, come abbiamo constatato in diversi casi.

Durante la visita a Caltanissetta sono emerse altre criticità consistenti nel rifiuto sistematico della Questura di formalizzare nuove domande di asilo da parte di soggetti che avessero già ricevuto un diniego da parte della competente commissione territoriale. Si tratta dei casi in cui i richiedenti protezione internazionale chiedono una seconda audizione innanzi alla Commissione Territoriale di Siracusa per il riconoscimento della protezione internazionale, nonostante avessero già sostenuto una audizione innanzi alla Commissione stessa, ed avessero ricevuto esito negativo, fossero nel frattempo venuti in possesso di nuovi elementi che potessero dare sostegno probatorio a quanto precedentemente raccontato,  ex art 31 decreto legislativo 28 gennaio 2008, n° 25. Si tratta di casi piuttosto frequenti di persone che sono state verbalizzate in condizioni di scarsa informazione e di grande confusione, durante l’emergenza sbarchi del 2011 o in altre circostanze analoghe, e che magari hanno ricevuto un diniego solo per la difformità tra quanto dichiarato inizialmente nel modello C 3 e quanto successivamente riferito durante l’audizione in commissione. Si tratta di casi nei quali la richiesta di riesame potrebbe persino evitare la proposizione di un ricorso giurisdizionale e dunque un ulteriore sovraccarico dei Tribunali. Ma la questura di Caltanissetta non sembra dello stesso avviso.

Da una circostanziata denuncia dello Sportello migranti di Caltanissetta è  emerso che “ alcune persone che, pur avendo richiesto un nuovo esame da parte della Commissione Territoriale di Siracusa per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, ed avendo ricevuto, da parte della Commissione stessa, invito a recarsi presso la Questura di Caltanissetta, distaccamento di Pian del Lago, per formalizzare il modello C3 necessario per il proseguimento della loro procedura, si sono trovati dinnanzi all’impossibilità di formalizzare il modello di cui sopra a causa di un lungo silenzio da parte degli uffici di Pian del Lago”. Inseguito lo Sportello veniva contattato telefonicamente, in data 17 aprile 2012, da personale in servizio presso il centro di Pian del Lago di Caltanissetta  per concordare, finalmente, le date in cui i richiedenti dovrebbero recarsi presso il centro per redigere il modello C3. Nel corso dello stesso colloquio, però, si informavano gli operatori dello sportello del fatto che, contestualmente alla redazione del modello C3, si sarebbe notificato, alle stesse persone convocate, un decreto di espulsione con intimazione a lasciare il territorio italiano.

La prassi adottata dalla Questura di Caltanissetta contrasta con il decreto Lgs. n 25/2008, secondo il quale  ”Il richiedente e’ autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini esclusivi della procedura, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, fino alla decisione della Commissione territoriale in ordine alla domanda”. Peraltro dovrebbe risultare evidente che la stessa lettera con cui la Commissione Territoriale di Siracusa per il riconoscimento della protezione internazionale invita i richiedenti a recarsi in Questura a Caltanissetta per formalizzare il modello C3 denota una valutazione di ammissibilità all’esame da parte della stessa Commissione, la quale altrimenti si sarebbe direttamente pronunciata dichiarando inammissibile la domanda inoltrata dai richiedenti e la documentazione inviata a sostegno della stessa. Lo stesso decreto legislativo n.25 del 2008 ha privato l’autorità di polizia di qualsiasi potere di valutare infondata una richiesta di protezione internazionale [4].

Nessuna questura italiana può dunque reagire alla riproposizione di una nuova domanda di asilo, sollecitata peraltro da una Commissione territoriale, comminando un provvedimento di espulsione, che potrebbe avere anche come conseguenza l’internamento in un CIE con l’adozione della procedura accelerata, piuttosto che l’accoglienza in un CARA con il ricorso alla procedura ordinaria [5]. L’emissione del decreto di espulsione a carico di chi si presenta in questura per riproporre la domanda di protezione internazionale sulla base di fatti nuovi,risulta dunque discriminatoria, vessatoria ed illegittima in considerazione del fatto che il diritto alla nuova audizione è sancito direttamente dal decreto legislativo n. 25/2008, senza che sia prevista nella normativa vigente la contestuale notifica di un decreto di espulsione.

La Direttiva 2003/9/CE sulle norme minime in materia di accoglienza dispone laddove che: “gli stati membri provvedono  che le condizioni materiali di accoglienza non siano revocate o ridotte prima che sia presa una decisione negativa” (art. 16 comma 5) Scaduto il termine di cui al citato art, 20 c.3 del D.Lgs 25/08 il richiedente diviene un soggetto titolare di un permesso di soggiorno per richiesta di asilo valido fino alla conclusione dell’iter di esame della domanda di asilo in sede amministrativa e dell’eventuale ricorso giurisdizionale in caso di diniego.

  1. I problemi derivanti dall’applicazione del Regolamento Dublino 2 n.343 del 2003

Si rileva infine che i numerosi casi Dublino presenti nel CARA di Pian del Lago a Caltanissetta, in costante aumento, come verificabile in altri CIE italiani, impongono una attenta riflessione sul ruolo del Regolamento Dublino 2 e sul rischio che l’Unità Dublino, costituita presso il Ministero degli esteri, possa proporre la successiva riammissione in Grecia degli Afghani e dei Pachistani che sono arrivati in Italia provenendo dalla Grecia, in prevalenza dal porto di Patrasso, tramite le frontiere portuali di Ancona e di Venezia, e che, dopo essere passati in altri stati europei, sono stati riammessi in Italia per effetto del Regolamento Dublino 2 n.343 del 2003.

In questa materia si  deve ricordare un importante intervento della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che, dopo un ricorso in via di urgenza, ai sensi dell’art. 39 del regolamento di procedura, già diversi anni fa, ha intimato allo Stato italiano la sospensione dell’espulsione di un cittadino afghano verso la Grecia. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, seconda sezione, il 18 novembre 2008, emanava un provvedimento d’urgenza, nel quale si ravvisava la possibile violazione dell’art. 34 della CEDU intimando allo Stato italiano di sospendere l’espulsione di un cittadino afghano verso la Grecia fino al 10 dicembre 2008 (CEDH-LF2.2R, Requete n°55240/08, M. c. Italie)

L’assemblea del Consiglio d’Europa, il 27 gennaio 2011, ha  espresso a sua volta una grave preoccupazione per il rapido incremento delle richieste di misure provvisorie per bloccare espulsioni o trasferimenti in base al Regolamento Dublino 2, che assegna al primo paese di ingresso in Europa la competenza a ricevere e ad esaminare le richieste di protezione internazionale, richiamando la circostanza che alcuni stati – come la Grecia – non possono  essere considerati paesi sicuri (safe for returns) per ricevere immigrati espulsi, allontanati o trasferiti da altri stati membri dell’Unione Europea. Sarebbero oltre mille i casi pendenti davanti alla Corte di Strasburgo sull’applicazione del Regolamento Dublino 2.

Con un ulteriore sentenza del 21 gennaio 2011, della Corte Europea dei diritti dell’Uomo relativa all’applicazione del “Regolamento Dublino” tra Belgio e Grecia (sentenza M.S.S. c. Belgio e Grecia), si è ribadito che il Regolamento Dublino  2,  n. 343 del Consiglio, adottato il 18 febbraio 2003, non impedisce che gli Stati, in alcuni casi, al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali affermati dalla Convenzione deroghino all’applicazione dei  criteri generali di competenza nell’individuazione del Paese che deve decidere sulla richiesta di asilo [6]

Con la sentenza del. 21 dicembre 2011 (cause riunite C-411 e 493/2010), con riferimento ai casi di trasferimento di richiedenti asilo dal Regno Unito e dall’Irlanda verso la Grecia, la Corte di Giustizia della UE ha poi riconosciuto che ” il diritto dell’Unione osta a una presunzione assoluta secondo la quale lo Stato membro che il regolamento designa come competente rispetta i diritti fondamentali dell’Unione europea. Gli Stati membri, infatti, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro designato come competente quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Secondo la Corte, gli Stati membri dispongono di vari strumenti adeguati per valutare il rispetto dei diritti fondamentali e, pertanto, i rischi realmente corsi da un richiedente asilo nel caso in cui venga trasferito verso lo Stato competente. E’ dunque possibile che lo stato sospenda l’applicazione del Regolamento Dublino avvalendosi della cd. clausola umanitaria o della clausola di sovranità [7].

Anche in Italia i giudici amministrativi hanno accertato come in Grecia non si verifichino le condizioni minime di accoglienza e di ammissione alle procedure di protezione internazionale che consentirebbero la utilizzazione del regolamento Dublino 2 ai fini del trasferimento in quel paese dei richiedenti asilo giunti in Italia dopo esservi transitati. Secondo il Tribunale Amministrativo del Lazio ( sentenza 11 febbraio 2011, n. 1363) è stata accertata la possibile violazione del Regolamento Dublino 2 da parte delle autorità italiane, peraltro alla stregua del parere cautelare emesso dal Consiglio di Stato ( con ordinanza n. 3428 del 14 luglio 2009 e da ultimo con la sentenza n. 8508 del 26 aprile 2010) [8].

Secondo la successiva sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio n. 1551 del 15 febbraio 2012,” sebbene la Grecia abbia successivamente ratificato e recepito sia la “Direttiva procedure (2005/85/CE) l’11/7/08, la “Direttiva qualifiche” (2004/83/CE) il 30/7/07 e la “Direttiva accoglienza” (2003/9/CE) il 13/11/07 e dal luglio del 2008 non applichi più il diniego automatico alle procedure d’asilo cosiddette“interrotte”, la situazione in cui versano i richiedenti asilo in Grecia è soltanto migliorata ma non è ancora equiparabile a quella esistente negli altri paesi europei come emerge chiaramente dalla disamina della raccomandazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati del dicembre 2009 (successiva al recepimento delle direttive comunitarie) con la quale l’Alto Commissariato ha dichiarato di “continuare ad opporsi ai trasferimenti verso la Grecia ai sensi del Regolamento Dublino II” in considerazione dei problemi osservati nella procedura di asilo greca, che le stesse Autorità greche riconoscono”.

Anche l’Italia, come la Grecia, non può essere ritenuta un paese sicuro per i richiedenti asilo. Negli ultimi anni una serie di decisioni di Tribunali amministrativi tedeschi hanno bloccato i trasferimenti forzati di migranti richiedenti asilo verso l’Italia, in applicazione del Regolamento Dublino 2. Secondo l’orientamento prevalente in Germania, chiaramente espresso in queste decisioni,  il quadro legislativo, e soprattutto le prassi applicative, quindi i comportamenti della polizia italiana in frontiera,  non corrispondono agli standard di garanzia imposti dal diritto comunitario e riconosciuti dal diritto tedesco, infatti “in Italien nicht an den zu fordernden und bei Einfügung des § 27a AsylVfG vorausgesetzten union- bzw. völkerrechtlichen Standard heranreichen. Insbesondere ist fraglich, ob die Antragsteller ihre Asylgründe in Italien noch uneingeschränkt vorbringen können”. In particolare, si dubita fortemente. da parte dei giudici tedeschi, che i richiedenti asilo in Italia possano esporre senza limitazioni indebite le ragioni sulle quali si basa la loro istanza di protezione internazionale.[9] Nelle decisioni dei tribunali amministrativi tedeschi si sottolinea pure la penosa condizione abitativa cui sono costretti i richiedenti asilo in Italia, peraltro costretti assai spesso alla condizione di senzatetto, esattamente come i pakistani e gli afghani da noi incontrati, che sono costretti a bivaccare all’esterno del CIE/CARA di Pian del Lago a Caltanissetta [10].

Non si possono neppure tacere, in conclusione, le conseguenze negative riscontrate sulle persone incontrate durante la visita della delegazione di LasciateCientrare nel CDA/CARA/CIE di Pian del Lago a Caltanisssetta. Anche in questo caso si tratta di criticità già segnalate nella ricerca coordinata dall’ASGI “Il diritto alla protezione” sulle quali nessuno sembra volere intervenire. “Spesso l’eventuale match positivo delle impronte digitali determina l’avvio della procedura di accertamento dello Stato membro competente all’esame, ma non la contestuale formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, che invece è nuovamente posticipata alla definizione della procedura di accertamento della competenza ad opera dell’Unità Dublino. Accade quindi che in tale periodo, dunque, lo straniero non venga considerato formalmente un richiedente protezione internazionale avente diritto ad una forma di accoglienza nel progetto territoriale S.P.R.A.R, a meno di casi eccezionali, posto che sino alla formalizzazione della richiesta il suo nome non è inserito nella lista di attesa per l’inserimento in un posto S.P.R.A.R. Parimenti, in attesa degli esiti degli accertamenti compiuti dall’Unità Dublino spesso non viene rilasciato all’interessato un titolo di soggiorno per asilo – attesa Dublino . Il tempo di attesa per il rilievo delle impronte digitali varia infatti entro una forbice amplissima che va da alcuni giorni a diversi mesi dal momento di dichiarazione della volontà di presentare la domanda. Detto periodo può risultare uguale o persino superiore al termine massimo (tre mesi) previsto dall’art. 17, paragrafo 1, del Regolamento n. 343/2003 per la presentazione della domanda di presa in carico del richiedente allo Stato membro individuato come competente, il cui dies a quo, tuttavia, è quello di presentazione della domanda. Da un lato, dunque, la mancata formalizzazione della domanda di protezione internazionale agevola l’Unità Dublino nel rispetto dei termini per la presentazione di richieste di presa in carico ad altri Stati membri dell’Unione europea, ma altera l’operatività degli stessi criteri gerarchici che l’Amministrazione è chiamata ad applicare in attuazione del cd Regolamento Dublino II determinando altresì situazioni di grave disagio per il richiedente asilo”.

Fulvio Vassallo Paleologo

ASGI- Associazione studi giuridici sull’immigrazione

29.4.2012

[1] Nello Schema di Capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati, adottata dal Ministero dell’interno nel 2008 si distinguono:

1) Centri di primo soccorso ed assistenza (CSPA) – strutture localizzate in prossimità dei luoghi di sbarco destinate all’accoglienza degli immigrati per il tempo strettamente occorrente al loro trasferimento presso altri centri (indicativamente 24/48 ore); questi centri sono centri chiusi e nell’ultimo periodo anche l’ACNUR ha subito forti limitazioni all’ingresso

2) Centri di accoglienza (CDA) – strutture destinate all’accoglienza degli immigrati per il periodo necessario alla definizione dei provvedimenti amministrativi relativi alla posizione degli stessi sul territorio nazionale (Legge 29 dicembre 1995 n. 563 – c.d. Legge Puglia); questi centri non sarebbero sulla carta centri chiusi, ma fino a quando gli immigrati non vengono identificati con il rilascio di un attestato nominativo, in genere, non vengono lasciati uscire liberamente. Ma in questa materia domina la discrezionalità amministrativa.

3) Centri di accoglienza per Richiedenti asilo (CARA) – strutture destinate all’accoglienza dei richiedenti asilo per il periodo necessario alla loro identificazione o all’esame della domanda d’asilo da parte della Commissione territoriale (Decreto Lg.vo 28 gennaio 2008 n. 25); sono centri aperti dai quali si può uscire dalle 8 alle 20 e ci si può allontanare per giustificati motivi, anche per alcuni giorni, su autorizzazione del Prefetto

4) Centri di identificazione ed espulsione (CIE) – strutture (così denominate ai sensi del Decreto legge 23 maggio 2008 n. 92) destinate al trattenimento dell’immigrato irregolare per il tempo necessario alle forze dell’ordine per eseguire il provvedimento di espulsione (Legge 6 marzo 1998 n. 40). Questi sono centri chiusi nei quali possono essere trattenuti anche richiedenti asilo che in questo caso hanno diritto ad una procedura accelerata ed alla convalida eventuale del provvedimento di trattenimento da parte del giudice ordinario e non del giudice di pace.

[2] Ad avviso pressoché unanime degli enti di tutela ascoltati nel corso di singole interviste della ricerca “Il diritto alla protezione” e nei Focus Group, il periodo di permanenza nei C.D.A-C.A.R.A. si attesterebbe su un periodo non inferiore a otto-dieci mesi, con punte superiori all’anno nel caso di richiedenti asilo nei cui confronti è pendente l’accertamento della competenza all’esame della domanda di asilo ai sensi del cd. Regolamento Dublino II.

[3] Si rinvia per i dati relativi, alla ricerca“Il diritto alla protezione“ già citata in precedenza, nel sito www.asgi.it , a pag.180

[4] Come si sottolinea nella ricerca Il Diritto alla protezione, pubblicata nel sito www.asgi.it,  poiché ai sensi dell’art. 40 c.1. del D.Lgs 25/08 sono abrogate le previgenti disposizioni di cui all’art. 1 comma 4 del decreto legge 20 dicembre 1989 n. 416 convertito in leggecon modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39 che non consentivano l’ingresso nel territorio dello Stato allo straniero che intendesse presentare domanda di asilo e nei cui confronti ricorresse una delle ipotesi indicate dal citato comma 4, tutte le istanze di asilo debbono essere recepite dall’autorità di P.S., senza esclusione alcuna, ivi comprese quelle che possono essere oggetto di una valutazione di inammissibilità da parte della competente Commissione territoriale, ai sensi dell’art. 29 del D.Lgs 25/08.

[5] Si richiama sul punto quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione prima civile, nella sentenza n. 26253 del 15.12.09 che nel ribadire il pieno diritto di accesso alla procedura di asilo da parte del richiedente bisognoso della protezione internazionale, ha sancito che le autorità hanno l’obbligo tassativo di astenersi dall’assumere provvedimenti di espulsione o respingimento che possano impedire la definizione del procedimento di asilo, affermando che “dal predetto quadro normativo emerge incontestabilmente che il cittadino extracomunitario giunto in condizioni diclandestinità sul territorio nazionale e come tale suscettibile di espulsione ex art. 13 co.2 lettera A del d.lgs 286/98 abbia il diritto di presentare istanza di protezione internazionale e che l’Amministrazione abbia il dovere di riceverla (inoltrandola al questore per le determinazioni di sua competenza) astenendosi da alcuna forma di respingimento e di alcuna misura di espulsione che impedisca il corso e la definizione della richiesta dell’interessato innanzi alle commissioni designate in ossequio al dettato di legge”

[6]  Secondo la sentenza, è stato il Belgio a violare la Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo e non può trincerarsi dietro il rispetto di obblighi internazionali come l’attuazione del Regolamento Dublino proprio perché, avendo dati certi sulla situazione dei richiedenti asilo in Grecia, non avrebbe dovuto procedere all’espulsione di un cittadino afgano trasferito ad Atene. La Grande Camera della Corte di Strasburgo ha anche precisato che lo stesso Regolamento n.343 del 2003 impone il rispetto della Convenzione di Ginevra, dunque anche del principio di non refoulement, e contempla precise eccezioni nell’applicazione dei criteri di competenza per l’esame della domanda di asilo, se nel Paese che sarebbe competente non sono garantiti i diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale. La Corte, inoltre, ha ritenuto che, il Belgio, decidendo di consegnare un cittadino afgano- che vi era transitato- alla Grecia, primo stato di ingresso nell’area Dublino, ha violato l’articolo 3 della Convenzione che vieta i trattamenti disumani e degradanti, nonché gli articoli 13 ( diritto ad un ricorso effettivo) e 46 ( forza vincolante ed esecuzione delle sentenze CEDU) della stessa Convenzione. La Corte ha quindi condannato la Grecia per le gravi violazioni relative al trattamento dei richiedenti asilo e ha stabilito misure per indennizzare il ricorrente.

[7] Nella causa C-411/10 davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il sig. N.S., cittadino afgano, risultava tratto in arresto il 24 settembre 2008 in Grecia. In Grecia non aveva potuto presentare domanda di asilo. Scarcerato, gli veniva ingiunto di lasciare il territorio greco entro 30 giorni, quindi veniva espulso in Turchia. Evaso dalle carceri turche, riusciva a raggiungere infine il Regno Unito, dove giungeva il 12 gennaio 2009  chiedendo contestualmente asilo. Il 30 luglio 2009 veniva informato che sarebbe stato trasferito in Grecia il 6 agosto 2009, in conformità delle disposizioni del regolamento Dublino n. 343/2003 [7].

[8] Le violazioni da parte della Grecia dei diritti dell’uomo – accertate anche ad opera della Corte Europea dei diritti dell’Uomo – secondo i giudici amministrativi italiani- devono indurre le autorità amministrative ad effettuare una più approfondita valutazione della particolare situazione nella quale si sarebbe potuto trovare il ricorrente, in quanto richiedente asilo, chiarendo, proprio con riferimento alla situazione dello stesso, per quale ragione, nonostante le contrarie raccomandazioni internazionali, il suo trasferimento verso la Grecia dovesse ritenersi obbligatorio o comunque preferibile rispetto alla possibilità di fare applicazione delle clausole di deroga, cfr. da ultimo T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 07 giugno 2010 , n. 15857.

[9]  Le sentenze, rintracciabili nel sito www.asyl.net , sono ben quattro solo nel mese di gennaio 2011, e impongono di non considerare l’Italia come un “paese sicuro” ai fini dell’applicazione del regolamento Dublino 2,  in quanto non si può costatare con la necessaria certezza che le domande di asilo possano essere presentate in Italia nel rispetto delle garanzie offerte dalle direttive comunitarie e dal Regolamento Eurodac. Cfr. In particolare  VG Köln, Beschluss vom 10.01.2011 http://www.asyl.net/index.php?id=185&tx_ttnews[tt_news]=41626&cHash=6843dd2173 ;

[10] Im Hauptsacheverfahren ist zu prüfen ist, ob Italien ein Asylverfahren gewährt, dass mit den Standards Europäischen Flüchtlingsschutzes zu vereinbaren ist. Trotz der bevorzugten Behandlung von Dublin-Rückkehrerinnen und -Rückkehrern kommt es in Italien bei der Bereitstellung von Wohnraum angesichts der völlig überlasteten Aufnahmekapazitäten zu Fällen von Obdachlosigkeit.