Signora, mi dispiace, ma devo confermare che suo figlio è stato ucciso
Tante, troppe telefonate nello scorso fine settimana. Troppi messaggi da parte di padri e madri, sorelle e fratelli che vogliono avere informazioni dei propri cari, prigionieri della nostra battaglia contro i migranti. Una battaglia che miete vittime ogni giorno: le ultime sono, anzi dovrebbero essere, quelle della scorsa settimana, e di preciso del weekend tra il 13 e il 15 gennaio, in cui le politiche europee hanno ucciso circa 200 persone.
In Sicilia sono sbarcate 4 salme a Lampedusa, 2 salme a Messina e 4 a Trapani.
Otto corpi senza nome ma recuperati, mentre per altri 180 circa, nessuna speranza di essere ritrovati, a meno che il mare non li consegni in qualche spiaggia. Ma anche in quel caso sarebbe troppo difficile dargli un volto e un nome. Così l’esercito dei senza nome, dei desaparecidos del Mediterraneo aumenta esponenzialmente, come aumentano le madri che non si danno pace per la sorte dei figli. Madri che hanno ricevuto una telefonata dai propri figli prima di partire dalla Libia e che non riceveranno mai la telefonata per informare dell’arrivo sulle tanto desiderate coste dell’Europa.
Le ultime salme arrivate sono state portate a Trapani dalla nave norvegese Siem Pilot facente parte del dispositivo Frontex, insieme ai quattro superstiti che hanno raccontato che soltanto dopo poche ore dalla partenza, la barca ha cominciato a riempirsi d’acqua e piano piano ad affondare. Tutte le circa duecento persone a bordo sono finite in acqua, moltissime sono state inghiottite subito dal mare, ed altre piano piano hanno perso le forze e smesso di lottare. Sono morti tutti, e lentamente ora dopo ora i quattro sopravvissuti hanno visto morire amici, cugini, fratelli e mogli. Sono rimasti in acqua per undici ore prima dell’arrivo della Siem Pilot, undici ore nel mare gelido.Hanno lottato ed hanno resistito, ma la notizia è passata come sempre sotto silenzio, un silenzio assordante, complice del sistema di morte.
I superstiti sono eritrei ed etiopi. Gli eritrei potrebbero avere accesso alla relocation, ma la prefettura li ha collocati nei CAS. Un sistema fuori controllo, che pensa soltanto ad aprire nuovi CIE e a respingere.Quindi, nonostante il periodo di tregua rispetto all’estate, ad oggi gli hub restano sovraffollati e ridotti a veri e propri contenitori. E magari, come nel caso dei superstiti, si tratta di persone che hanno subito un grave trauma e collocarli nei CAS è una scelta discutibile e sicuramente priva di umanità.
Le prefetture sono in balìa del ministero dell’interno che non dà indicazioni di sorta, e anzi crea situazioni di estremo disagio specialmente per i vulnerabili che non hanno nessun tipo di assistenza e spesso, come le donne e i minori, sono ammassati e abbandonati nei CAS per mancanza di trasferimenti.
Situazioni di questo tipo le abbiamo riscontrate e continuiamo a riscontrarle a Poggioreale nel trapanese, a Boccadifalco e Giardinello nel palermitano, in cui da tempo le prefetture chiedono dei trasferimenti, ma da Roma non arriva nessun segnale. Nel caso di Poggioreale l’ente gestore non è più in grado di gestire le donne ospiti della struttura dopo che si sono licenziati tutti gli operatori e sono rimaste solo due persone senza una competenza specifica. Le dinamiche che si sono create sono deleterie per le ospiti, ed i risultati sono stati allontanamenti e revoche dell’accoglienza, spingendo le donne nella rete dell’invisibilità con la conseguenza che spesso la strada è l’unico modo di vivere, sfruttate ancora una volta.
Anche per i MSNA (Minori Stranieri Non Accompagnati) le dinamiche sono simili, con la costante apertura di centri in cui vengono stipati i ragazzi. La Regione Siciliana continua ad accreditare strutture in modo totalmente scriteriato sull’onda dell’emergenza; spesso i comuni neanche conoscono l’esistenza di tutte le strutture presenti sul proprio territorio, ma in ogni caso i MSNA vengono “posteggiati” per tanto, troppo tempo.
Cosa accade spesso a questi ragazzi? Compiono 18 anni dentro le strutture per minori in cui vengono collocati senza che nessun tipo di percorso venga avviato e spesso la fuga è l’unica via d’uscita che credono di avere. Oggi, per fare un esempio, circa il 20% di neo maggiorenni si trova nelle strutture per minori, e anche qui il ministero non dà segnali alle prefetture per i trasferimenti. I posti nei CAS siciliani sono esauriti, e le dinamiche dentro i centri sono sempre più conflittuali tra neo maggiorenni che ricevono un determinato trattamento e hanno diverse necessità, e minorenni ed operatori.
Nel corso del 2017 i neomaggiorenni raggiungeranno un numero altissimo e quindi o si programma in fretta e si progetta una soluzione, oppure, come sempre piegati all’emergenza, si lascerà semplicemente scoppiare la bomba facendone pagare le conseguenze ai minori e a chi se ne occupa direttamente.
Intanto chi resta impantanato in questa giungla ha spesso grossi disagi psicologici a cui non viene prestata attenzione. La scarsa disponibilità di posti per vulnerabili all’interno del sistema SPRAR, fa sì che questi rimangano dentro i CAS, in cui ormai si registra promiscuità tra uomini, donne, neo maggiorenni e vulnerabili che è contro ogni criterio minimo di accoglienza, senza dimenticare che qualche CAS ospita anche testimoni di giustizia.
Un sistema fallito da tempo, che continua ad uccidere prima (in Libia), durante (in mare) e dopo (nelle nostre città).A noi restano la rabbia e la difficoltà a comunicare con i parenti di chi non ce l’ha fatta, perché i racconti e le lacrime restano indelebili anche attraverso un telefono. Il peso di queste lacrime è enorme, e non abbiamo più parole per consolare queste persone e allora resta la rabbia per quello che stiamo togliendo a queste famiglie, a questi giovani, a questi figli di un mondo a cui di umano rimane ben poco. E così, con non poca difficoltà riusciamo a dire: “Signora, mi dispiace, ma devo confermare che suo figlio è stato ucciso”.
Alberto Biondo
Borderline Sicilia Onlus